La campagna del terrore contro Israele

Micol Flammini

Due israeliani sono stati uccisi a Gerusalemme. L'attentatore si è lanciato con la macchina a tutta velocità contro la fermata dell'autobus

Nel quartiere Ramot di Gerusalemme, una macchina si è schiantata a tutta velocità contro la fermata dell’autobus, uccidendo un bambino di sei anni e un ragazzo di venti. I feriti sono cinque, incluso un altro bambino in condizioni critiche. Lo schianto, la macchina contro il  marciapiede, i vetri infranti avevano fatto pensare a un incidente, poi  lo sparo di un agente   contro  il terrorista è stato il segnale: era un attentato. Il terrorista, Hussein Qaraqa,  aveva trentuno anni, dal suo account su Facebook aveva inneggiato al gruppo terroristico libanese Hezbollah e a quelli palestinesi Hamas e Jihad islamico, e aveva definito un eroe l’uomo che lo scorso anno ha ucciso una soldatessa israeliana al checkpoint di Shuafat, nella parte orientale di Gerusalemme. La violenza prosegue ininterrotta: soltanto due settimane fa un ventenne si era appostato davanti a una sinagoga durante le celebrazioni dello Shabbat e aveva iniziato a sparare uccidendo sette persone. Aveva scritto, anche lui   su Facebook, che un buon cecchino nel posto giusto è meglio di mille soldati. Dopo aver sparato era fuggito in  macchina, e poi era stato neutralizzato.  I gruppi terroristici lo avevano glorificato e definito un eroe. Anche quel giorno era venerdì, e per Israele la consapevolezza di essere trasportata ancora una volta nei venerdì del terrore è insostenibile. Gerusalemme ha i suoi anticorpi contro il terrorismo,  ma inizia a sentire la consapevolezza di  trovarsi di fronte a qualcosa di più di  una nuova ondata di violenze.  L’esperto israeliano Kobi Michael ha più volte sottolineato che si tratta di una vera campagna terroristica. I due concetti sono molto diversi, la campagna terroristica ha in sé l’idea di un sistema organizzato, che può sembrare aleatorio, può sembrare che proceda a ondate, invece ha alle spalle qualcuno che tiene i fili di tutto e questi fili, spesso, portano a Teheran.  

 

L’idea dell’Iran di aprire vari fronti da cui attaccare Israele comprende anche quello interno, fomentando chi vive a contatto con Israele: chi è in grado di colpire in un quartiere come Ramot scagliandosi con una macchina contro una fermata dell’autobus. Qaraqa viveva nel quartiere Issawiya e dopo l’attentato il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha disposto di sigillare e distruggere la casa del terrorista: è una procedura che Israele applica come misura politica e spesso la demolizione viene annunciata ma non portata a termine, come nel caso dell’abitazione del terrorista che ha colpito nella sinagoga due settimane fa. Alcuni agenti israeliani sono entrati nel quartiere, hanno prelevato membri della famiglia del terrorista e sono stati accolti da insulti e pietre. I gruppi terroristici hanno definito l’attentatore un eroe, ma nessuno ha rivendicato l’attacco che secondo un membro anziano dell’ala politica del Jihad islamico era un gesto contro il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e l’intelligence israeliana. Ben-Gvir ha detto ai giornalisti che voleva imporre un blocco nel quartiere di Issawiya e di aver ordinato alla polizia di prepararsi per un’ “operazione scudo difensivo 2”. Il nome  rievoca l’ingresso delle truppe dell’Idf in Cisgiordania durante la Seconda Intifada. Sono in molti a parlare di Intifada, ma sulla bocca del ministro la parola assume un significato che sembra avere più a che fare con la politica che con la sicurezza. Un funzionario del governo ha detto al quotidiano Haaretz che   un’operazione scudo difensivo non si annuncia a due passi dalla scena dell’attentato e soprattutto sminuisce l’importanza che l’operazione ebbe nel 2002: venne decisa dopo la morte di 131 israeliani in un mese. I gruppi terroristici hanno minacciato che la “resistenza” andrà avanti con ogni mezzo.  Al di là delle affermazioni di Ben-Gvir, che vuole fare del suo delicato ministero un pulpito per esprimere le idee del suo partito di estrema destra Otzma Yehudit,  la sicurezza in Israele è sempre stata altro, un apparato indipendente dalla politica, che si muove in modo accorto, soprattutto se bisogna dare inizio a una nuova operazione o se c’è la necessità di fare irruzione in posti come il campo di Jenin. Lo sanno anche i terroristi che hanno iniziato a incrementare la violenza ben prima dell’arrivo del nuovo governo e soltanto ora usano la scusa dell’estrema destra per giustificare i nuovi attentati.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)