La festa di Khamenei
Nell'anniversario della rivoluzione in Iran la Guida gode per la fine della protesta: ma una vittoria è altra cosa
Da dicembre non ci sono manifestazioni a Teheran. Vittorie e sconfitte della protesta secondo un giornalista del quotidiano Shargh, la redazione più colpita dagli arresti e la stessa dell’inviata che per prima aveva dato la notizia della morte di Mahsa Amini, in carcere anche lei
Oggi è festa degli ayatollah, alla vigilia a Teheran è caduto quasi mezzo metro di neve che ha bloccato il traffico e ha ritardato i preparativi per le grandi celebrazioni di regime. L’11 febbraio è il giorno della vittoria della rivoluzione islamica e la festa nazionale dell’Iran: anche se mai come negli ultimi cinque mesi la legittimità degli ayatollah era stata messa in discussione, Ali Khamenei oggi ha qualcosa da festeggiare. La capitale gli somiglia di nuovo, i manifesti della propaganda tappezzano i muri dal quartiere di Shemiran a nord a quello di Dowlatabad nel sud e ormai hanno coperto tutti i graffiti della protesta. E’ da dicembre che non ci sono manifestazioni in città. Un giornalista del quotidiano riformista Shargh – la redazione più colpita dagli arresti e la stessa dell’inviata che per prima aveva dato la notizia della morte di Mahsa Amini, arrestata anche lei – dice al Foglio che “le impiccagioni come arma terroristica usata contro il proprio stesso popolo sono state tanto crudeli quanto efficaci. Le manifestazioni sono finite, ma non i gesti simbolici. Fidati che tutti quei manifesti per l’anniversario non resteranno al loro posto ancora a lungo, e anche questa notte canteremo le parole della ribellione dalle finestre, per essere rumorosi ma irriconoscibili”.
Nelle mense universitarie, dove sono tornati i separatori alti due metri per impedire a maschi e femmine di pranzare insieme, mangiano tutti in cortile – anche se adesso fa molto freddo – per scavalcare il divieto senza rischiare sanzioni. Nella metro di Teheran, quella dove cinque mesi fa la polizia aveva fermato Mahsa Amini per il suo velo malmesso, una donna con i capelli sciolti è stata fermata da un agente che le chiedeva di mettersi l’hijab sulla testa. Lei gli ha risposto: “Meglio che ti levi, sennò mi tolgo anche i pantaloni”.
Tre giorni fa le attiviste Alieh Mottalebzadeh, Saba Kordafshari, Fariba Asadi, Parasto Moini, Zahra Safaei, Gelareh Abbasi e Sahereh Hosseini sono state liberate e, al buio, appena hanno messo piede fuori da Evin, la prigione di massima sicurezza di Teheran, hanno inziato a filmarsi mentre cantavano “donna, vita, libertà” per poi dire che “questo regime oppressivo merita soltanto di essere distrutto”. Se i cortei sono finiti, la determinazione non è andata persa. In questi mesi i manifestanti sono riusciti a costruire una nuova, fragile, normalità: la polizia religiosa è sparita da settembre ed è stata di fatto abolita a dicembre, ci sono interi quartieri di Teheran dove le ragazze che indossano il velo sono una minoranza. Una risposta a un agente della sicurezza come quella della signora nella metro di Teheran sarebbe stata impensabile prima delle proteste. “E’ difficile che cambiamenti come questi siano reversibili. Il regime ha usato la brutalità per evitare una rivoluzione: la rivoluzione non c’è, ma un cambiamento c’è stato, è supportato anche da chi non avrebbe il coraggio di scendere in piazza ed è più forte della paura”, dicono dalla redazione di Shargh.
Anche Armita Abbasi – giovanissima, con i capelli corti ricci tinti biondo platino e gli occhiali, arrestata a ottobre e diventata uno dei volti della protesta – ha appena abbracciato suo padre uscendo di prigione. Il giornalista sportivo Ehsan Pirbornash ha sollevato in aria suo figlio Kian per la prima volta in cento giorni, quelli che ha passato in carcere prima che la sua condanna venisse cancellata. Sono i primi effetti concreti dell’amnistia parziale annunciata la settimana scorsa dalla Guida suprema Khamenei, un gesto che ha due facce. Dopo che le esecuzioni hanno funzionato per sedare con crudeltà la protesta, lui adesso si sente forte ed è per questo motivo che permette un perdono parziale. Dall’altra parte centinaia e, in futuro, migliaia di cittadini che incarnano un Iran diverso sono di nuovo liberi, sono un esempio per gli altri e non hanno intenzione di tornare alle abitudini forzate che erano la normalità per tutti – fino al giorno in cui Mahsa Amini è morta in ospedale.