Il colloquio
Un avvocato che ha lavorato alla Giustizia ci spiega lo scontro istituzionale in Israele
Jean-Marc Liling, già consulente dell’ufficio del primo ministro israeliano: "Nella riforma di Netanyahu vedo solo il tentativo di un uomo cinico e politicamente indebolito di salvarsi dai propri guai con la giustizia"
Berlino. Da quando è tornato al potere in Israele, il sei volte premier Benjamin Netanyahu si è messo in testa di limitare il potere della magistratura in genere e della Corte suprema in particolare. Un obiettivo che ha portato in strada migliaia di israeliani contrari al progetto del guardasigilli Yariv Levin, anche lui del partito Likud del premier. Levin intende fra l’altro modificare il sistema di elezione dei giudici ma il punto più divisivo è permettere al 61 deputati sui 120 della Knesset di annullare le sentenze della Corte. Al massimo tribunale sarà anche impedito di giudicare la “ragionevolezza” delle decisioni del governo perché “non esiste una cosa come la ragionevolezza”, ha detto il ministro.
Lo scontro fra i due poteri non nasce oggi. “Nel 1995 la Corte suprema si è arrogata il diritto di giudicare se le leggi adottate dalla Knesset siano compatibili con le leggi fondamentali che lo stato si è dato negli anni”, dice al Foglio al telefono da Gerusalemme Jean-Marc Liling. Già consulente del ministero della Giustizia prima e dell’ufficio del primo ministro poi, Liling è un avvocato specializzato nella tutela dei migranti e dei rifugiati in Israele. La questione, premette, è delicatissima, perché il controllo giurisdizionale da parte della Corte non è previsto in Israele, paese in cui una Costituzione scritta non c’è. Ci sono invece 13 leggi fondamentali adottate nel corso degli anni e già problematiche perché non del tutto distinguibili da quelle ordinarie. Di fatto la Corte ha esondato dalle sue competenze sopperendo alla latitanza della politica. D’altronde, sui religiosi, sui migranti, sul conflitto palestinese “sono anni che la Knesset non legifera”, osserva Lilling, che attribuisce parte della responsabilità al sistema elettorale. “Il proporzionale fornisce a partiti anche piccolissimi un potere del tutto slegato dalla loro effettiva rappresentanza politica”.
L’avvocato non è contrario a priori alla riorganizzazione del sistema “ma importare in Israele il procedimento americano dell’audizione al Senato dei giudici che il governo vuole nominare non ha senso”. Liling non entra neppure nel merito delle altre proposte del governo che non considera legittimato a presentarle; nella riforma vede il tentativo di un premier, che definisce “cinico e politicamente indebolito”, di salvarsi dai propri guai con la giustizia. Il caso Deri sarebbe lo specchio di tale debolezza: il leader degli ultraortodossi sefarditi Aryeh Deri è stato condannato tra l’altro per frode fiscale e riciclaggio. Ma gli 11 deputati del suo partito Shas fanno gola a Netanyahu che ha comunque nominato Deri ministro della Sanità e dell’Interno. La Corte suprema ha reagito ricordando il recente patteggiamento con cui Deri si era impegnato a lasciare la politica attiva. Con il no all’alleato di Bibi la Corte ha sfidato il premier che le vuole legare le mani. “Ma questo non è il clima in cui si possa discutere una riforma sull’equilibrio dei poteri dello stato”, riprende Liling. L’avvocato invoca riforme condivise a larga maggioranza dopo dibattiti approfonditi, il contrario della forzatura di una parte sull’altra. “Invece la polarizzazione è massima”. Parte della stampa è con il premier, parte è contro di lui “e parte” osserva ancora Liling, “è accusata di malversazioni assieme a lui nel caso 2000 mentre il caso 4000 coinvolge anche l’operatore delle telecomunicazioni Bezeq”. Bibi da parte sua lamenta la persecuzione giudiziaria “accusando chiunque trovi sul suo cammino di essere ‘un traditore di sinistra’: ce l’ha con la polizia, la magistratura, con Naftali Bennett e Avigodr Liberman, due politici che di sinistra non hanno nulla”.
Da ebreo osservante Liling accusa poi i partiti ultraortodossi di tentare di imporre politiche disgreganti come il diritto per gli studenti delle scuole di studi religiosi di non prestare servizio militare, la rimodulazione dei curriculum scolastici “con meno matematica” o la segregazione fra i sessi negli spazi pubblici. Su quest’ultima proposta anche Netanyahu, che Liling riconosce essere in origine “un conservatore laico”, ha avuto un momento di resipiscenza. Il partito dell’alleato Deri ha proposto di multare chi al Muro del Pianto (Kotel) sia vestito in maniera immodesta, e l’immodestia è una categoria molto ampia, o per vietare la preghiera fra uomini e donne insieme. “Lo status quo al Kotel, che è prezioso per l’intera nazione di Israele, continuerà ad essere come oggi”, ha replicato Bibi. Per la riforma della giustizia servirebbe lo stesso senso della sintesi.