Bilanciamento dei poteri
Piano con gli attacchi a Netanyahu: non è tutto illogico nella sua riforma
Il progetto di Bibi rischia di minare l'indipendenza della magistratura: l’alleanza con i fanatici è criticabile, ma il rapporto tra giustizia e democrazia merita una riflessione non faziosa. La maggioranza che ritiene giustificata la correzione del sistema non ha tutti i torti
Il governo di Bibi Netanyahu è per molti israeliani ingombrante e anche inquietante. Non è una rivolta della Ztl quella che sfila nelle città di Israele dall’inizio dell’anno, ci sono veterani di guerra, l’opposizione politica unita, giovani e studenti, la generazione tech, famiglie e popolo confusi tutti in un movimento possente che eguaglia il capo del governo a un nuovo Mussolini e denuncia il tradimento della democrazia israeliana, bastione di valori assediato dalla reazione araba e dal regime dei mullah iraniani. La faccenda non riguarda solo la personalità controversa, molto amata e molto odiata, del leader più longevo, tra i più tenaci e scaltri della storia del paese, oggi alleato con gli ultraconservatori e i religiosi ortodossi in una coalizione ritenuta minacciosa dai manifestanti, moltissimi e tenaci anche loro, che protestano contro la legge imminente della Knesset sul ridimensionamento dei poteri della Corte suprema e altro, con il sospetto usuale di leggi ad personam contro le inchieste anticorruzione. In gioco qualcosa che noi italiani conosciamo molto bene per esperienza diretta, la contesa tra democrazia e sistema giudiziario.
Tutto ruota intorno alla questione dell’indipendenza del giudiziario dall’esecutivo, a dir meglio dalle maggioranze elettoralmente legittimate nel Parlamento e, di converso, intorno alla tutela del potere elettivo da intromissioni indebite del giudiziario che fa politica, che fa scelte in contrasto obliquo con la volontà popolare. In Italia questa battaglia, accompagnata dal conflitto tra garantismo giuridico e disprezzo giustizialista delle norme del giusto processo, è stata ed è a suo modo anche una battaglia di civiltà e di cultura. In Israele, di più e diversamente, è in ballo la questione esistenziale relativa al peso della religione ortodossa, con regole comunitarie proprie e separate da quelle laiche e generali, dunque alla costituzione e all’identità di un paese in guerra da decenni per la sua sopravvivenza in un ambiente ferocemente ostile e violento, dove la democrazia non è di casa. Un aspetto decisivo è ovviamente, inasprito dagli insediamenti ebraici e dalla reazione di chi si considera espropriato, la convivenza con gli arabi interni, gli arabi israeliani, e con i palestinesi sottoposti a occupazione dalla fine della guerra dei sei giorni in Cisgiordania (l’accusa dei progressisti è contro la prospettiva di un regime di apartheid, di semilibertà, per una componente della popolazione). Una miscela esplosiva, come si vede, ma di esplosivo c’è abbondanza nella storia israelo-araba dal 1948 a oggi.
L’alleanza del Likud di Bibi con ortodossi e intolleranti e fanatici si procura e forse merita protesta e disagio politico aspro. Il tema del rapporto tra giustizia e democrazia, specie dal nostro osservatorio, merita una riflessione equilibrata e non faziosa. Gli unici che abbiano parzialmente risolto il problema di far convivere un sistema di giustizia equo e maturo con le istituzioni democratiche sono americani e inglesi, gli anglosassoni. Negli Stati Uniti, all’insegna del loro costituzionalismo antico e scritto, con l’elezione e la nomina politica, procedente dalla volontà popolare, dei giudici, dalla Corte suprema in giù. Nel Regno Unito con una pratica giurisprudenziale basata sul rispetto della tradizione e della continuità culturale, all’insegna del garantismo più puro e specchiato. L’idea di sistema che la democrazia si difende con l’autonomia di chi deve essere bocca della legge da chi fa la legge per investitura popolare è invece un falso bilanciamento dei poteri, come prova la degenerazione, di valore e implicazione anche costituzionale, della giustizia politica e politicizzata arbitrariamente nella storia ormai ultradecennale del nostro paese. A parte le accuse di nepotismo, giustificate, la pretesa della maggioranza Netanyahu di impedire per legge, con correzioni che aumentano il peso del legislativo, lo sfondamento del sistema democratico elettivo da parte dei funzionari non eletti che stanno a presidio della regola giudiziaria ha un suo fondamento. I rischi sono evidenti, ma la maggioranza di israeliani che ritiene giustificata la correzione di sistema in discussione alla Knesset e nelle strade di Gerusalemme non ha tutti i torti.