Lapresse

Putin e i pesciolini

La guerra vista con gli occhi dei nostri figli ci insegna cosa significa difendere la libertà

Claudio Cerasa

Un anno di conflitto in Ucraina significa la presenza costante e istantanea del conflitto nelle vite dei più giovani. Una immersività che ha generato la certezza di avere sul campo un nemico riconoscibile e che rappresenta tutto ciò che il nostro mondo ha oggi il dovere di combattere

David Foster Wallace, formidabile scrittore e saggista americano, raccontava spesso una storiella per provare a capire alcuni aspetti preoccupanti della modernità. La storiella narra di due giovani pesci che nuotano sereni e spensierati in mare aperto. A un certo punto, i due pesci incontrano un pesce più anziano che arriva dalla direzione opposta. Il pesce più anziano, di fronte ai pesci più piccoli, si ferma, fa un cenno di saluto e con cordialità dice: “Salve ragazzi! Come state? Ma com’è l’acqua oggi?”. A quel punto, i due giovani pesci si fermano, si guardano smarriti e con un po’ stupore si chiedono: “Acqua? E che cos’è l’acqua?”. La storiella di David Foster Wallace ci può aiutare a mettere a fuoco uno degli aspetti forse più trascurati degli ultimi dodici mesi passati, come si dice, con la guerra alle porte di casa nostra. L’aspetto in questione non riguarda la strategia militare, la sfera economica o le conseguenze politiche del conflitto. Riguarda un aspetto più importante che ha a che fare con la nuova quotidianità vissuta da una generazione speciale: quella dei nostri figli.

 

Si è detto spesso che il conflitto in Ucraina, soprattutto per noi europei, è stato il primo conflitto della storia recente letteralmente a portata di mano, o forse sarebbe meglio dire a portata di palmo, ma la grande differenza con altri conflitti importanti esplosi a pochi passi dalle nostre case, pensate al Kosovo, è la presenza costante, istantanea, immersiva, della guerra nelle vite dei più giovani. Una immersività che in questi mesi si è manifestata per ragioni tecnologiche – avere la guerra a portata di reel rende anche ciò che è lontano estremamente vicino. Una immersività che in questi mesi si è manifestata per ragioni di prossimità estetica – vedere ogni giorno una via di una città bombardata così simile alle città dove viviamo rende anche ciò che è lontano estremamente vicino. Una immersività che in questi mesi si è manifestata anche perché molti dei nostri figli l’Ucraina la vivono ogni giorno – la mattina quando escono di casa e salutano un portiere ucraino, il pomeriggio quando escono da scuola e salutano un compagno di classe ucraino, il sabato quando escono da casa dei nonni e salutano una badante ucraina.

 

E per le ragioni più varie, dunque, l’accesso alla guerra, agli orrori della Russia, alle tragedie vissute dall’Ucraina, è divenuto semplice come trovare una puntata di Peppa Pig su Rai Yoyo o una scena di “Mercoledì” su Netflix. È una guerra, la prima guerra della storia moderna, che ha colpito emotivamente i più piccoli, i più giovani, con un’intensità non inferiore rispetto a quanto la guerra abbia colpito i più grandi. E se vogliamo, in questa immersione nella guerra della generazione dei pesciolini di David Foster Wallace, il dato più interessante riguarda l’affermazione tra i più giovani di una certezza non scontata. La certezza, cioè, di avere sul campo un nemico riconoscibile, persino iconico, che rappresenta tutto ciò che il nostro mondo ha oggi il dovere di combattere. E la consapevolezza simmetrica che dall’altra parte, oggi, chi si difende da un dittatore sanguinario sta difendendo non solo un paese aggredito ma anche un’idea violata: quella di poter vivere liberamente in una democrazia. Sarà capitato anche a voi di dover spiegare, in questi mesi, qualcosa ai vostri figli, ai più piccoli e ai più grandi, e sarà capitato anche a voi di leggere nei loro occhi un sentimento a metà tra la paura (“Papà, è la Terza guerra mondiale?”), l’angoscia (“Papà, riguarderà anche noi?”) e lo spavento (“Papà, ma quante persone ha ucciso Putin?”). Ma allo stesso tempo sarà capitato anche a voi, specie a chi ha figli più grandi, di vedere affermarsi negli occhi della generazione ucraina un desiderio più forte di qualsiasi primordiale istinto pacifista: il desiderio di avere giustizia, il desiderio di capire da che parte stare, il desiderio di capire che cos’è quest’acqua di cui non c’eravamo accorti, quest’acqua di nome democrazia, che ci dà ogni giorno l’ossigeno giusto per respirare la libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.