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Ostracismi d'Oriente

Cosa significa essere miliardari in Cina

Stefano Cingolani

Bao Fan, banchiere dell’high tech, scompare nel nulla. La guerra del Partito comunista alla ricchezza continua dopo la vicenda Alibaba e mostra quanto sia difficile il rapporto fra imprenditori e governo

Giunto ormai a 88 anni, dopo un periodo di forzato riposo che alcuni considerano un altro confino (il secondo escludendo l’umiliazione durante la rivoluzione culturale), Deng Xiaoping decide di partire per il Grande Viaggio nel Sud. Accompagnato da sua figlia Deng Nan, passa da Shenzhen e Zhuhai, nelle zone economiche speciali dove si sperimenta il nuovo modello social-capitalista, per arrivare poi a Shanghai, la città guidata da Jiang Zemin salito al potere a Pechino dopo il massacro di piazza Tiananmen. Deng, il quale aveva dato il via libera alla repressione e giubilato il riformista Zaho Ziyang, era stato poi messo in disparte anche se poteva manovrare dietro le quinte grazie soprattutto all’Esercito Popolare di Liberazione. Il tour comincia il 18 gennaio 1992 e dura fino al 21 febbraio, è accompagnato da una serie di discorsi che danno una sferzata al nuovo capo del partito, prigioniero dell’ala conservatrice, e segnano il ciclo futuro. Uno in particolare contiene un messaggio nettissimo contro gli ideologi maoisti a cominciare dalla frase che resta nella storia come il suo motto: “Non importa se il gatto è bianco o nero, purché catturi i topi”. Interpretata come il massimo del pragmatismo e dell’utilitarismo, in realtà arriva dopo una revisione teorica (il profitto nasce dalla osservazione della natura umana, a prescindere da quel che pensava Karl Marx) e un avvertimento destinato ai successori: il governo perderebbe il sostegno del popolo se punisse gli imprenditori per il loro successo. Jiang cambia presto marcia lanciando la formula “economia socialista di mercato” e il testamento politico di Deng viene rispettato finché Xi Jinping non prende il potere dieci anni fa e lo consolida dal 2018: con la rottura tra il partito e i “capitalisti rossi”, ora volta le spalle all’artefice della nuova Cina, l’uomo che in assoluto ha creato più benessere per il suo popolo e per il mondo, ha scritto Henry Kissinger, suo grande ammiratore. Mentre in politica estera l’asse con Mosca, “duro come la roccia”, sconfessa un altro precetto chiave. Proprio nella parte finale della vita il vecchio capo della Lunga marcia aveva scritto le sue istruzioni in 24 caratteri e le spiegazioni in 12 caratteri, usando lo stile poetico classico. Xi rinnega le due più significative: “Tenere sempre un basso profilo e non pretendere mai di avere troppo potere”.

 

L’ultimo caso clamoroso riguarda Bao Fan, l’uomo che con la sua banca d’investimenti China Renaissance ha finanziato, lanciato, sostenuto la Triade high tech, cioè Jack Ma il patron di Alibaba, la risposta orientale ad Amazon, Ma Huateng (“Pony” Ma) di Tencent, il re dei videogiochi e delle messaggerie (WeChat), Robin Li che con Baidu, il Google cinese, guida la corsa all’intelligenza artificiale. Senza dimenticare gli altri a cominciare da Cheng Wei, fondatore di Didi Chuxing, regina delle app per taxi e servizi di trasporto (nel 2016 ha comprato Uber China). L’allarme è suonato alla borsa di Hong Kong la scorsa settimana, nessuno ha più visto né sentito Bao, tanto che il consiglio di amministrazione della banca ha dovuto ammettere di aver “perso i contatti”, una notizia e nello stesso tempo una formula in perfetto stile cinese, insomma è stato ingoiato nei meandri dello Zhongnanhai che si può tradurre con lago centrale o lago meridionale, il complesso di edifici a ovest della Città Proibita che ospita la sede del partito e quella del governo, il Palazzo del potere, il Cremlino cinese inaccessibile tanto quanto la reggia dell’imperatore.

 

Bao, 53 anni, è nato a Shanghai da genitori che lavoravano nell’amministrazione locale, abbastanza benestanti e lungimiranti da pagargli la scuola secondaria negli Stati Uniti, prima della laurea in patria nella Fudan University e la specializzazione alla Norwegian School of Management. “Ma non sono un principino”, ha dichiarato più volte per distinguersi dai rampolli della nomenklatura come lo stesso Xi Jinping. Finiti gli studi si fa le ossa alla Morgan Stanley a Londra, New York e Hong Kong dove decide di mettersi in proprio. Nel 2005 fonda Renaissance, una banca per finanziare la rinascita tecnologica della Cina, puntando sui giovani innovatori, non sulle compagnie di stato, delle quali aveva un ricordo non felice nei primi anni della sua carriera. “Ho incontrato Jack Ma, Pony Ma e Robin Li quando non erano nessuno, adesso è difficile prendere con loro un appuntamento”, s’inorgogliva il banchiere finché non è arrivato il giro di vite del partito-stato. Lo scorso anno i redditi di Renaissance sono crollati del 40 per cento e Bao ha cominciato a cercare una via d’uscita dalla trappola finanziaria. Un ruolo chiave nella compagnia era riservato a Cong Lin, assunto nel 2020 per gestire le acquisizioni e le partecipazioni finanziarie. E proprio lui è finito per primo nel mirino del governo. Nel settembre scorso il manager è stato convocato per una discussione su “alcuni aspetti della governance” e non è più uscito dagli uffici dei “regolatori”. Tre giorni dopo sono state comunicate le sue dimissioni e il nome è scomparso anche dal sito della banca. A questo punto, Bao ha pensato a una “exit strategy”. Le ultime notizie parlano di un tentativo di spostare il centro degli affari a Singapore, “la Svizzera dell’Asia”. Ma è scomparso nelle nebbie dello Zhu Jiang, il Fiume delle perle che si getta in mare tra Hong Kong e Macao.

 

Anche la stretta contro la triade high tech sembra disobbedire apertamente alle volontà di Deng che aveva insistito fino all’ultimo su due raccomandazioni: la crescita innanzitutto e il sostegno ai competenti, ai tecnici, ai giovani che si dedicavano all’innovazione perché qui si gioca il futuro di un paese che Mao Zedong aveva lasciato povero e illetterato. Nel 1982 solo un terzo della forza lavoro aveva frequentato una scuola primaria, il 28 per cento era analfabeta e meno dell’un per cento dei cinesi aveva un diploma. La vicenda dello scienziato dissidente Fang Lizhi che nel fatidico 1989 si era rifugiato nell’ambasciata americana a Pechino, era diventata il simbolo di una repressione che soffocava non solo la libertà di espressione, ma le stesse forze produttive. Ripreso il cammino delle riforme, sono fioriti i campioni digitali, grazie alle energie liberate nell’“èra dell’armonia”, cioè i due decenni segnati da Jiang Zemin e dal suo successore Hu Jintao, lo stesso scortato a forza fuori dalla Grande Sala del Popolo che nell’ottobre scorso ha celebrato la presa del potere assoluto da parte di Xi Jinping. Da allora, del vecchio Hu non si è saputo nulla. E non c’è più nessuno che possa sfidare la nuova autocrazia, tanto meno i capitalisti privati ai quali Xi sta cercando di sostituire i plutocrati del partito e dell’esercito. 

 

La pandemia ha offerto l’occasione per soffocare ogni fermento. In economia, il crac del colosso immobiliare Evergrande, salvato dal governo, ha suonato l’allarme: il modello non è più replicabile all’infinito. Costruire a più non posso era diventato il pane e il burro del miracolo cinese. Prima la liberalizzazione agricola, poi le concessioni edilizie che hanno arricchito le autorità locali (eredi delle comuni maoiste) creando una classe di mediatori e speculatori, vera cerniera tra il partito e gli affari. La terra, il lavoro, il capitale; hanno svolto un ruolo fondamentale le rimesse degli emigrati, la diaspora in America e in Asia, le banche locali, ma anche banchieri arrivati soprattutto da Hong Kong. Le borse nelle zone sperimentali del sud e poi su scala nazionale hanno dato alimento ai nuovi capitalisti, molti dei quali venuti dal basso, alcuni da condizioni di estrema povertà. Hanno raggiunto ricchezza e potenza economica scendendo a compromessi con il partito, ma non sono mandarini né oligarchi putiniani, non li ha messi al comando l’autocrazia dominante che oggi vuole emarginare, disarcionare, se non proprio espropriare personaggi popolari, per quanto ambigui, diventati eroi delle giovani generazioni come Pony Ma e Robin Li o lo stesso Jack Ma. 

 

Il patron di Tencent è all’anagrafe Ma Huateng e si fa chiamare Pony giocando sul cognome, perché Ma vuol dire cavallo. È nato nel 1971 a Chaoyang nella provincia di Guandong (capoluogo Canton) da una famiglia di classe media. Il padre, chiamato a dirigere il porto di Shenzhen, porta con sé il figlio che si iscrive all’università, si laurea in informatica e comincia a smanettare. Nel 1998 lancia la sua prima messaggeria che diventa la numero uno in Cina, da lì nasce Tencent. Li Yanhong, detto Robin è figlio di contadini, venuto al mondo nel 1968 nella provincia interna di Shanxi. Unico maschio con quattro sorelle, viene fatto studiare, si laurea all’università di Pechino e nel 1991 varca l’oceano per un dottorato a Buffalo nello stato di New York. Negli States resta fino alla svolta del secondo millennio e ottiene successi rimarchevoli tanto da stupire anche Larry Page il fondatore di Google. Il primo gennaio 2000 nasce Baidu, in pochi anni conquista l’80 per cento del mercato cinese e diventa la numero due al mondo. Profeta in patria e celebrato nel mondo intero, da eroe rischia di trasformarsi in traditore come nel racconto di Jorge Luis Borges? Esattamente quel che è accaduto a Ma Yun detto Jack. Nato nel 1964, in piena rivoluzione culturale, a Hangzhou importante metropoli sulla costa a sud di Pechino, una capitale nell’epoca delle Cinque dinastie e dei Dieci regni, visitata anche da Marco Polo. A dodici anni comincia a studiare inglese, lingua che insegnerà all’università. Nel 1995 va a Seattle come interprete e lì ha la rivelazione: si collega per la prima volta in internet e ne rimane folgorato. Tre anni dopo, insieme a 18 amici mette insieme 60.000 dollari statunitensi e fonda Alibaba. Secondo Forbes oggi possiede un patrimonio di 50 miliardi di dollari, è tra i primi 20 ricconi del mondo. Ci è arrivato anche grazie alle sue amicizie politiche? Due anni fa ha rivelato di essere iscritto al Partito comunista, ma ai vertici del Pcc non piace. Jack Ma cade nella rete stesa dalla campagna contro la corruzione lanciata da Xi; possiede una vasta proprietà nello stato di New York, uno chateau nel bordolese e due nella Garonna, un po’ troppo anche per un “barone rosso”. Quando prova a quotare in borsa il gruppo Ant (filiazione di Alibaba, possiede Alipay seconda società di servii finanziari dopo Visa), il governo si mette di traverso. Ma scompare e riappare, esce dal consiglio di amministrazione di Alibaba e nel gennaio scorso cede il controllo di Ant. Ora lo avrebbero visto in Australia, forse da quegli stessi che aveva incontrato da giovane studente di inglese e con i quali erano rimasti amici. 

 

La forza delle compagnie high tech è evidente, basta guardare a poche cifre: le prime tre raggiungono un valore di borsa attorno ai mille miliardi di dollari. La loro debolezza è che restano cinesi. Solo l’un per cento degli introiti di Baidu viene dall’estero, il 5 per cento per Tencent e l’11 per cento per Alibaba. Ciò le espone al ricatto del partito-stato. Il mercato interno è in espansione, tuttavia internet raggiunge ancora poco più di metà di una popolazione più giovane di quella europea o americana, ma ancora relativamente povera. Jack Ma ha cercato di spingersi fuori dai confini con maggiore energia e il partito ha brutalmente tirato le redini. La strategia di Xi Jinping è ormai chiara: prendere il controllo della rivoluzione digitale sempre più dominata dal complesso militar-industriale. La parabola di Huawei ne è la prova maggiore. Fondata nel 1987 da Ren Zhengfei e da altri cinque soci, che inizialmente avevano azioni uguali, tre anni dopo la società inizia a distribuire azioni ai dipendenti. Nel 1997 le azioni dei dipendenti passano ad una sorta di trust formato dai sindacati aziendali i quali detengono formalmente le azioni ed esercitano il diritto di voto. Ma chi decide, come funziona la governance, cosa contengono i documenti costitutivi? I dipendenti possiedono una sorta di azione virtuale grazie alla quale partecipano agli utili senza detenere un diritto di di proprietà; quando il lavoratore lascia l’azienda il contratto viene annullato. È una struttura che ricorda il modello russo delle privatizzazioni con voucher che non contavano nulla, rastrellati dalla struttura parallela creata dal Kgb. Secondo gli americani Huawei è la longa manus dell’Esercito Popolare di Liberazione; penetrata in Europa cominciando dalla Gran Bretagna, è stata messa al bando da Donald Trump dopo che le indagini su ben 25 mila curricula aveva rivelato i collegamenti più o meno stretti con i servizi segreti. La contaminazione ha raggiunto anche TikTok spensierato sito di canti e balletti. Nel 2020 Anonymus ha denunciato che ormai è un malware usato per uno spionaggio di massa e giovedì scorso l’Unione europea ha ordinato ai suoi dipendenti di disinstallare l’applicazione. 

 

Il tradimento di Deng si estende anche alla politica estera? Con la sua “proposta di pace” per l’Ucraina Xi Jinping tenta la carta del “tertium datur”, il mediatore, o meglio il punto d’equilibrio in un ordine mondiale che ridimensiona i due nemici della guerra fredda, entrambe potenze del passato; l’una, l’America, ormai declinante, l’altra, la Russia, già declinata, destinata a finire ancella della Cina, la nuova potenza imprescindibile. Il nazionalismo di Xi è la verità a lungo nascosta che ora viene alla luce, ha scritto Kevin Rudd, ex primo ministro australiano, su Foreign Affairs. Sono trascorsi tre decenni dai poetici precetti di Deng, in Cina è tornato il culto del passato, quello dell’Impero di Mezzo, alias centro del mondo, celebrato in pompa magna già con le olimpiadi di Pechino nel 2008, quel culto al quale il “piccolo grande timoniere” s’opponeva anche con simboli densi di significati come introdurre a tavola le posate occidentali. Anni fa in uno dei miei viaggi di lavoro, a Guangzhou sono stato brutalmente ripreso da un manager cinese perché durante una cena avevo chiesto le bacchette e il tè verde: “Non portiamo più il codino”, mi disse con la forchetta in mano. Mi sono sempre chiesto se oggi è tornato anche lui ai bastoncini, i kuài zi, magari fabbricati con metalli rari.

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