L'allineamento
Varsavia è pronta con i Leopard, la solidarietà a Kyiv è in piazza. Così sono stati convinti gli scettici
Dall’incredulità all’unità. Così il presidente americano Joe Biden ha cucito assieme gli alleati nel sostegno militare a Kyiv
Milano. Le bandiere ucraine hanno colorato le piazze e i balconi delle città europee e americane, l’azzurro e il giallo sono diventati i colori della democrazia e della solidarietà, illuminate dalle candele, il simbolo della resistenza ucraina contro il buio imposto, con violenza, da Vladimir Putin. Il ricordo del 24 febbraio dello scorso anno, il giorno in cui la Russia ha invaso il paese, è stato caldo e unito in occidente, a testimoniare in modo concreto quel che il presidente americano, Joe Biden, ha detto qualche giorno fa, in visita a Kyiv e a Varsavia: l’Ucraina è ancora in piedi, è ancora libera ed è ancora indipendente. L’invasione di Putin ha posto delle domande, è stato un test, ha detto Biden, e oggi abbiamo le risposte, l’Ucraina libera è la risposta e no, il piano d’aggressione di Mosca, per quanto esteso, costante e brutale, non ha funzionato.
E non dovrà funzionare mai, per questo il sostegno a Kyiv non soltanto deve continuare, ma deve anche accelerare. Di questo nuovo slancio si è fatto portavoce il governo polacco, che in questi dodici mesi ha costruito l’impianto di solidarietà e di sostegno all’Ucraina che ha fatto da guida e da modello in tutta Europa, e che ieri ha annunciato che la formazione dei soldati ucraini in Polonia si sta concludendo, entro due o tre settimane i primi quattordici carri armati Leopard 2 destinati all’esercito ucraino arriveranno con la loro tecnologia d’avanguardia tanto attesa e chiesta da Kyiv. Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, è andato nella capitale ucraina a mostrare, ancora una volta, la propria concreta vicinanza. Il presidente polacco, Andrzej Duda, ha ricordato che il 23 febbraio del 2022 aveva incontrato Volodymyr Zelensky che lo aveva salutato dicendo: “Potremmo non vederci mai più, ma nessuno qui si arrenderà, combatteremo fino alla fine”. Duda gli aveva risposto: “Ci rivedremo ancora moltissime volte, potrai sempre contare sulla Polonia”.
Potrebbe sembrare retorica, ma è il contrario: è solidarietà reale, umana, militare, valoriale. Putin “è stato fermato dall’eroismo dei soldati e della società dell’Ucraina”, ha detto Duda, che ha poi alzato lo sguardo su tutta l’alleanza occidentale, ha detto che non si tornerà al business as usual, e che “tutto questo non sarebbe stato possibile senza la forte leadership degli Stati Uniti”. In questa visione di sostegno unito, che deve durare fino a che l’aggressione russa non sarà respinta, non c’è spazio per divisioni o analisi sull’equilibrio interno all’alleanza transatlantica: è piuttosto evidente, dai numeri e dalle parole, che la guida americana è essenziale per la determinazione occidentale (anzi: dal 2014 al 2022 avevamo semmai visto che cosa succede se questa guida non c’è), ma è altrettanto evidente che non si vuole cedere al piagnisteo del baricentro europeo che si sposta da ovest a est-tendenza nord e ancor meno alle supposizioni sulla volontà di Biden di dividere l’Europa. E’ vero che nell’ultimo anno abbiamo annullato l’idea di affidarci ai calcoli di convenienza, ma in questo momento l’interesse occidentale è davvero comune, e unito e, per usare le parole di Biden, rock solid.
Questo allineamento è stato il frutto di una nuova consapevolezza. Ogni paese occidentale ha fatto il proprio percorso per arrivarci, alla consapevolezza: c’è chi era già pronto (i polacchi e gli inglesi) e chi non lo è nemmeno adesso (gli ungheresi), ma il punto di arrivo è condiviso. Il sito americano Politico ha pubblicato la storia della strategia e della reazione dell’Amministrazione Biden all’invasione russa, “la battaglia per convincere gli scettici, per unire gli alleati stranieri e affrontare una minaccia quasi impensabile, che ancora scuote il mondo oggi”. E’ un racconto straordinario, che parte dall’incredulità – Avril Haines, direttrice dell’intelligence nazionale, dice: l’invasione di Putin “era onestamente una cosa difficile da credere all’inizio. La maggior parte della gente diceva: ma davvero? un’opzione militare su larga scala? sembra improbabile!” – passa per la determinazione a non credere che il presidente russo potesse invadere l’Ucraina e finisce con una paziente e sapiente cucitura dell’alleanza occidentale, nella Nato e oltre. Il primo segnale che questa volta le cose sarebbero state diverse rispetto alla prima invasione di Putin nel 2014 è che si è creato fin da subito un fronte unito, dentro l’America (e dentro la Casa Bianca) e in Europa, nell’introdurre sanzioni dure alla Russia ancor prima che agisse: in sostanza, si voleva alzare il costo dell’invasione al punto da evitarla.
Come sappiamo, quella prima unità non bastò, ma Politico entra nel dettaglio delle parole e delle azioni della leadership americana nelle sue relazioni interne e in quelle con gli alleati e così facendo definisce la trasformazione straordinaria di un establishment democratico che fino a quel momento aveva agito in continuità con un allontanamento dagli affari del mondo (il ritiro dall’Afghanistan risaliva a pochi mesi prima). Una nuova postura dei leader e una forza diplomatica rinnovata e più giovane hanno compreso la minaccia esistenziale posta dalla Russia e la necessità urgente di difendere l’Ucraina e tutte le democrazie. Non era scontato, anzi nessuno nasconde la sorpresa, ma le ultime parole di questo bellissimo resoconto sono: democracy stands.