Alleati al lavoro
Biden e Scholz definiscono il paradigma della nuova fase di guerra
C’è un nuovo equilibrio tra Europa e America: accelerare senza essere frettolosi. L'incontro tra Washington e Berlino
La fiducia non è mai stata tanto grande, la vicinanza non è mai stata tanto stretta, ha detto il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, al Bundestag alla vigilia del suo incontro a Washington con il presidente americano, Joe Biden. Il vertice “informale” tra i due leader è stato criticato dai leader dell’opposizione conservatrice in Germania: che cosa dovete discutere, perché non c’è una conferenza stampa in cui rendete pubblici i temi dell’incontro?, hanno chiesto, mostrando quanto sia sensibile il paese al cambiamento quando si tratta di guerra, riarmo, militarismo. Si può ben dire che il più sensibile è il cancelliere stesso, che quando divenne all’inizio degli anni Ottanta il leader dei giovani dell’Spd era famoso per i suoi articoli ostili all’imperialismo della Nato, ma sono passati quarant’anni e soprattutto è passato il 2022 dell’aggressione russa all’Ucraina, e tutto, anche per Scholz, è cambiato. Se dei cento miliardi di euro per l’esercito tedesco promessi dal cancelliere un anno fa (in un discorso rivoluzionario per la Germania e per lui) non è stato ancora stanziato nulla; se l’impegno a dedicare il 2 per cento del budget della Difesa per la Nato è rimandato vagamente al 2025, la Germania ha comunque speso in termini assoluti a sostegno dell’Ucraina più degli altri europei, addestra i soldati ucraini sul suo territorio e ha accettato il ruolo di guida dell’America, costruendo un rapporto transatlantico a tratti migliore di quello esistente in Europa. Lo stesso Biden ha da sempre insistito non sulla riluttanza tedesca quanto sulla sua capacità di trasformarsi.
La pressione americana sugli alleati europei, quando necessaria (con i paesi Baltici, con il nord, con la Polonia e il Regno Unito, come è evidente, non serve: sono già perfettamente allineati), è stata fatta in modo non impositivo, ma collaborativo, e questo ora si vede nella capacità degli europei di vivere l’alleanza con l’America in modo molto meno competitivo rispetto al passato. E tra gli strumenti che possono essere utilizzati per ottenere ancora di più in termini di impegno militare (le munizioni, per esempio) dagli europei, Biden ne ha uno molto grosso: il suo Inflation reduction act, che è un colpo secco a molti settori industriali europei (quello automobilistico in particolare, cui la Germania è sensibilissima), e che potrebbe essere smussato e riarticolato perché non risulti, come è oggi, un costo enorme per l’Europa.
Poi certo, ora si apre una nuova fase della guerra, non soltanto sul terreno. Se quest’anno è stato scandito dall’allineamento e dall’unità occidentale, il 2023 sarà l’anno in cui la domanda: quando finisce questa guerra? sarà più pressante. Biden stesso va di fretta: nel 2024 si apre la stagione elettorale in America, e se si cementa l’idea che la Casa Bianca aiuta più gli ucraini che gli americani, è più sensibile ai confini ucraini che a quelli americani, la posizione del presidente inevitabilmente si indebolirà. Il partito del porre fine alla guerra in fretta è destinato a prendere sempre più consensi ed è a questo punto che lo straordinario allineamento occidentale dovrà mostrarsi resistente al tempo. Biden ha cucito un’alleanza in cui ognuno ha avuto il suo ruolo, compreso quello poco intonato dei francesi e dei tedeschi: non ci sono stati scontri pubblici, anzi di fronte ai muri, come quello di Scholz sui Leopard, il presidente americano li ha superati assecondando la resistenza, e mettendo a disposizione gli Abrams, che pure non erano i mezzi più consoni per gli ucraini. Andare di fretta senza avere fretta: questo è il compito di Biden, che intanto vuole assicurarsi che Scholz abbia capito che è cambiato il paradigma dei rapporti internazionali: con gli alleati, con la Russia e anche con la Cina.