Esplosioni e falle ai confini, Mosca alle prese con la sua vulnerabilità

Micol Flammini

 La Russia ha un problema alle sue frontiere da vent’anni e ora queste crepe sono parte della guerra

Ieri mattina l’Fsb, i servizi di sicurezza di Mosca, ha pubblicato un video in cui mostrava gli effetti dell’incursione  di giovedì di uomini armati in due villaggi della regione russa di Bryansk: una macchina crivellata di colpi con un cadavere all’interno, armi, edifici distrutti e mine. Nelle stesse ore il finanziatore del gruppo Wagner, Evgeni Prigozhin, si faceva riprendere mentre sosteneva di essere dentro alla città ucraina di Bakhmut e con tre ostaggi accanto intimava al presidente Volodymyr Zelensky di abbandonare  la zona. Il video dell’Fsb è stato pubblicato quando ormai iniziava a essere strano che della giornata di terrore dentro al territorio di Mosca non ci fossero immagini, prove e poco si sappia di cosa sia effettivamente avvenuto. Secondo alcuni esperti, anche per l’insistenza sui dettagli, le immagini non sono autentiche. Anche il filmato di Prigozhin è stato smentito dai servizi ucraini: non si trovava a Bakhmut ma a Paraskoviivka, una cittadina catturata il 20 febbraio.  

 

Con questa guerra la Russia vuole espandere il suo territorio, parla costantemente di difesa dei confini russi, dentro ai quali include anche quelli delle zone  occupate in Ucraina, ma oltre a non aver chiaro quali siano questi nuovi confini, dopo l’attacco di giovedì sul proprio territorio – quello che anche  la comunità internazionale riconosce come tale – ha dimostrato grande difficoltà a controllare e proteggere  le frontiere di sua pertinenza. Ieri il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto una riunione del Consiglio di sicurezza e ha annunciato nuove misure contro “i sabotaggi e il terrorismo” al confine. 
Probabilmente quella di giovedì non è stata neppure la prima incursione, ma quarantacinque uomini armati che riescono a passare dal territorio ucraino a quello russo – due paesi in guerra – non è un’impresa da poco. Putin ha detto che Mosca deve proteggersi dai terroristi, i “sabotatori” che vengono dall’Ucraina, ma è da molti anni che la Russia ha dei problemi a controllare i suoi confini: nel 2004 sono stati aboliti gli avamposti che presidiavano il perimetro del paese; nel 2005 sono state abolite anche le truppe di frontiera, sostituite da una nuova autorità con numeri ridotti.  Giovedì è stato il Corpo volontario russo  (Rdk) a fare un’ incursione, si tratta di un gruppo di estrema destra che dice di opporsi a Putin e che ha preso parte alla guerra in Ucraina contro l’esercito russo. Non si sa cosa sia successo davvero  nella regione di Bryansk, ma la rivendicazione plateale dell’Rdk potrebbe aver avuto l’obiettivo di mostrare le debolezze del confine russo e se Mosca vorrà porre rimedio avrà bisogno di uomini che non potrà quindi mandare al fronte.

 

 Un’altra incursione era stata denunciata dalla Russia  a fine dicembre, l’Fsb anche in quel caso aveva mostrato delle immagini tardive per documentare la presenza dei “sabotatori ucraini” che in quel caso sarebbero stati uccisi. Il sito di inchiesta  Insider tuttavia aveva notato alcune incongruenze: per esempio gli uomini indossavano delle scarpe con la suola liscia, non adatte a percorrere chilometri su un terreno accidentato. Forse l’incursione non era mai avvenuta o forse Mosca non era riuscita a fermare gli uomini e per non mostrare  le falle nel suo sistema ai confini aveva messo in scena la loro morte. Kyiv non ha mai ammesso di essersi introdotta in Russia, i collaboratori di Zelensky hanno rilasciato dichiarazioni sibilline, come spesso accade riguardo alle operazioni nel territorio russo.

 

Negli ultimi giorni si sono verificati  esplosioni e attacchi in Russia, ieri anche vicino Mosca,  e l’entrata e l’uscita dei quarantacinque uomini armati potrebbero  essere parte di un disegno razionale: non soltanto eliminare strutture strategiche, ma anche far sentire ai russi che la guerra è in casa, almeno da un anno e Putin non li sta proteggendo. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)