L'Iran collabora con Mosca in Ucraina pensando al Caucaso meridionale

Micol Flammini

Teheran vede la possibilità di tre guerre in una: Mosca contro Kyiv, Armenia contro Azerbaigian e infine il conflitto contro Israele. I calcoli a lungo termine e il ruolo dell'occidente, tra proposte di pace ed energia

Domenica l’agenzia di stampa Armenpress aveva diffuso una notizia: un gruppo di sabotatori dell’esercito  azero ha sparato contro un mezzo della polizia armena. L’agenzia di stampa Apa raccontava un’altra storia: un gruppo di militari azeri ha  impedito una provocazione da parte dei separatisti armeni. Il veicolo grigio della polizia armena crivellato di colpi è rimasto immobile lungo l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia: il  corridoio di Lachin. I morti sono stati cinque, tre poliziotti armeni e due soldati dell’Azerbaigian. Baku accusa  Erevan di voler portare armi ai separatisti del Nagorno-Karabakh, territorio interno allo stato azero abitato da armeni. Erevan accusa Baku di aver bloccato il corridoio di Lachin a qualsiasi rifornimento  destinato agli armeni del Nagorno-Karabakh. 
  

Armenia e Azerbaigian sono in guerra da trent’anni, il conflitto doloroso non si è mai spento ed è tornato con forza nel 2020, capovolgendo la situazione: Baku con nuovi alleati ha strappato un accordo di cessate il fuoco che per Erevan ha rappresentato di fatto una sconfitta. Mosca, storica alleata dell’Armenia, è rimasta nel Nagorno come forza di mantenimento della pace e sembrava che l’invasione dell’Ucraina dovesse distrarla dal Caucaso meridionale o, addirittura,  costringerla  a spostare in numeri massicci le sue truppe. Questo avrebbe potuto favorire l’Azerbaigian. L’instabilità nel Caucaso meridionale interessa però molto a uno degli amici del Cremlino: l’Iran, prezioso alleato contro l’Ucraina. 

 

C’è un momento preciso in cui le tensioni tra Armenia e Azerbaigian sono tornate più intense: dopo la grande e spettacolare controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv a settembre dello scorso anno, che per la Russia fu più una fuga disordinata che un ritiro.  Da quel momento non soltanto il presidente russo Vladimir Putin rimase tanto sbalordito da annunciare la mobilitazione dei suoi  cittadini, ma si fece più sfacciato  anche il rapporto con Teheran. Nei pesanti bombardamenti di ottobre sono stati utilizzati i   droni iraniani contro il territorio ucraino. E’ stato quello il momento in cui l’Ucraina è diventata uno dei campi di prova per la collaborazione tra Russia e Iran, mentre nel Caucaso meridionale, tra Armenia e Azerbaigian si facevano più frequenti gli scontri. Volodymyr Kopchak, analista della sezione del Caucaso meridionale del Centro ucraino per gli studi sull’esercito, intervenendo a un incontro con la stampa al quale il Foglio ha partecipato, ha spiegato che se l’Ucraina è il campo di prova, il Caucaso meridionale è dove Teheran è interessato a far funzionare questa collaborazione, e la Russia, che nell’area ha una sua presenza storica, è pronta a fornirgliela. Bisogna guardare con attenzione ai confini, agli alleati di Baku e alla sua ricchezza energetica per capire come mai il Caucaso meridionale interessa tanto a Teheran. Mosca, pur dichiarandosi alleata dell’Armenia, ha sempre cercato di non rompere definitivamente con l’Azerbaigian, che è sostenuto dalla Turchia e da Israele, e con il quale l’Unione europea ha intensificato i rapporti soprattutto dal 24 febbraio, quando ha capito che rendersi indipendente dalle risorse energetiche di Mosca non era più una questione rimandabile.  Teheran, invece, per gli stessi motivi prende lo scontro tra l’Armenia e l’Azerbaigian come parte di un piano  più ampio. Secondo lo storico israeliano David Eidelman è il momento di considerare un aspetto: “L’intenzione dell’Iran è di fare di tre guerre una sola: Russia-Ucraina, Azerbaigian-Armenia, sono parte dello scontro con Israele”. 

 

Russia e Iran affinano la loro collaborazione, ma la diffidenza dell’Armenia nei confronti di Mosca racconta anche quanto sia forte la richiesta di nuovi interlocutori: l’Ue l’ha capito di recente e ha iniziato a interessarsi non soltanto al sottosuolo azero  ma anche ai rapporti dolorosi tra i due popoli. Yerevan aspetta, Baku aspetta  più attivamente con una consapevolezza che gli esperti sentiti dal Foglio hanno sintetizzato così: “Non puoi metterti a leggere la Bibbia vicino al lupo nella speranza che non ti mangi”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)