Foto Epa, via Ansa

gas russo

La Germania non si sente più orfana dell'“irrecuperabile” Nord Stream

Daniel Mosseri

Berlino lo scorso settembre ha annunciato il lancio di un quinto rigassificatore galleggiante. E sebbene l’azienda energetica E.On ha detto di poter di riparare le pipeline dei gasdotti distrutte dall’esplosione sottomarina del 27 settembre 2022, queste sembrano non essere più necessarie

Berlino. L’ultimo aggiornamento sul gasdotto Nord Stream è arrivato ieri da Düsseldorf dove, parlando alla Rheinische Post, l’azienda energetica E.On ha detto di poter di riparare le pipeline dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 distrutte dall’esplosione sottomarina del 27 settembre 2022. Del doppio gasdotto diretto Russia-Germania adagiato sul fondo del Mar Baltico si è tornati a parlare a inizio settimana quando il New York Times, citando fonti di intelligence statunitensi, ha attribuito il sabotaggio a un non meglio identificato gruppo filo ucraino. La notizia è di interesse per i tedeschi: da un lato perché da ottobre la Procura generale federale indaga sull’accaduto (ma inchieste analoghe sono state avviate anche in Svezia e Danimarca) dall’altro perché la premier socialdemocratica del Meclemburgo-Pomerania anteriore, Manuela Schwesig, è tornata nell’occhio del ciclone per essersi spesa un po’ troppo a favore del completamento del Nord Stream 2. Il raddoppio della seconda doppia pipeline, va ricordato, era pronto per essere collaudato e inaugurato all’inizio del 2022 e solo l’aumento delle tensioni fra Mosca (che ammassava truppe) e Kyiv spinse la Casa Bianca a fare pressing su Berlino affinché fermasse il progetto. Il Nord Stream 2, di fatto, è esploso prima di essere entrato in funzione.

 

Al New York Times due testate tedesche, l’emittente radiotelevisiva Ard e il settimanale Die Zeit hanno svelato alcuni dettagli riguardo alle indagini tedesche. La nave-appoggio da cui è partito il sabotaggio sarebbe uno yacht ormeggiato in Polonia di proprietà di due ucraini, mentre la squadra dei sabotatori sarebbe stata composta da cinque uomini e una donna. Fra loro il capitano dell’imbarcazione, due subacquei, due assistenti di immersione e un medico che, dopo aver usato documenti falsi per noleggiare lo yacht il 6 settembre, avrebbe caricato a bordo gli esplosivi per far saltare le condutture. Gli investigatori hanno stabilito che l’imbarcazione avrebbe incrociato acque danesi prima di essere restituita in Polonia. Restituita sporca, ossia con tracce di esplosivo a bordo che hanno permesso di ricostruire il quadro. Una grave disattenzione, ovvero un gesto voluto per simulare le responsabilità del sabotaggio, depistare le indagini e far ricadere la responsabilità sull’Ucraina. Comunque sia andata, “non dobbiamo avere paura della verità”, ha affermato ieri l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, osservando che serve alzare la guardia per evitare che l’accaduto si ripeta un domani “a un cavo di fibra ottica o un cavo elettrico sottomarino per fornire elettricità da un paese all’altro”. A margine dello stesso Consiglio europeo informale della Difesa a Stoccolma, il ministro ucraino Oleksii Reznikov ha negato il coinvolgimento del suo paese nel sabotaggio. L’attribuzione delle responsabilità è importante da un punto di vista storico, ma ai tedeschi importa di più sapere se Schwesig,  leader politica molto vicina al padre del progetto Nord Stream, l’ex cancelliere Gerhard Schröder, sia penalmente perseguibile per aver costituito una fondazione “per l’ambiente” nel suo Land al solo scopo di bypassare le sanzioni e concludere il raddoppio del gasdotto al quale già a fine del 2021 in tanti non credevano più. Oggi la Germania, che lo scorso settembre ha annunciato il lancio di un quinto rigassificatore galleggiante, non si sente più orfana della pipeline diretta verso la Russia europea. Neppure gli olandesi credono al ripristino di Nord Stream immaginato da E.On: ieri l’operatore olandese di gas naturale Gasunie ha rinunciato alla sua quota del 9 per cento in Nord Stream, sussidiaria di Gazprom. Valutata in origine 508 milioni di euro la quota oggi vale zero: Gasunie considera il progetto “irrecuperabile”.

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