Gil Cohen Magen / via AP

Progetti e limiti

Netanyahu può davvero portare il gas all'Italia?

Federico Bosco

Prima Draghi e poi Meloni sono riusciti a ridurre la dipendenza dalle forniture russe. Ora è possibile ritagliarsi un ruolo centrale nell’intermediazione degli accordi dell’Ue con Israele ed Egitto

Benjamin Netanyahu è in Italia per una visita di tre giorni che servirà a rafforzare i legami bilaterali con il membro del G7 fisicamente più vicino a Israele. “Vorrei vedere una maggiore cooperazione economica tra i nostri due paesi,” ha detto Netanyahu in un’intervista a Repubblica, sottolineando il ruolo del gas naturale. “Ne abbiamo tanto, e vorrei discutere su come farlo arrivare in Italia per sostenere la vostra economia”. Nell’ultimo anno l’Italia è riuscita con successo a ridurre la dipendenza dal gas russo, ribaltando la geografia delle importazioni: se prima i flussi arrivavano soprattutto da est adesso arrivano maggiormente da sud, con un ruolo preponderante dell’Algeria destinato ad arricchirsi con altri fornitori. Negli ultimi dieci anni nel Mediterraneo orientale sono stati scoperti numerosi – in alcuni casi enormi – giacimenti off-shore tra le acque che separano Egitto, Cipro, Israele e Libano.

 

L’invasione russa dell’Ucraina ha dato una forte spinta a svilupparli e integrarli rapidamente nel sistema europeo. Secondo l’ex ministro dell’energia israeliano Yuval Steinitz, nei prossimi trent’anni anni solo lo stato ebraico sarà in grado di esportare circa 600 miliardi di metri cubi di gas. I contatti tra Roma e Gerusalemme sono iniziati ad aprile con il governo Draghi. “Israele è un partner importante nella diversificazione dell'approvvigionamento energetico, anche attraverso il gas naturale liquefatto”, disse l’allora ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti dopo un incontro con il ministro israeliano dell’energia, “nel prossimo futuro la posizione dell’Italia nel Mediterraneo sarà centrale, una porta strategica per il transito del gas e di altre fonti energetiche verso l’Europa”, sottolineò Giorgetti. Due mesi dopo Mario Draghi incontrò il premier israeliano Naftali Bennet per continuare a discutere su come portare il gas israeliano in Europa. “Una buona notizia per Israele, per l’Italia e per l’Europa”, dissero i due nella dichiarazione congiunta.

 

Il progetto più quotato era l’EastMed, gasdotto lungo 2000km per unire Israele, Cipro, Grecia e Italia. Ma a gennaio 2022 gli Stati Uniti affossarono il progetto in quanto economicamente e ambientalmente insostenibile, anche se probabilmente il motivo reale era evitare di aggiungere problemi nelle contese geopolitiche tra Turchia, Cipro e Grecia per le zone di sfruttamento dei giacimenti. Di fronte a sfide, urgenza e rischi, si sta facendo strada l’idea di abbandonare l’ipotesi di un gasdotto in favore dei soli terminal per l’esportazione di gas naturale liquefatto. Attualmente esistono già due impianti in Egitto ed è allo studio un impianto al largo di Israele. La soluzione più semplice e immediata è trasportare gas israeliano nei terminal egiziani, liquefarlo e trasportarlo in Italia, rigassificarlo e immetterlo nella rete italiana ed europea. 

 

Sono in molti a pensare che l’Italia ha la possibilità di conquistarsi un ruolo centrale nell’intermediazione degli accordi energetici che l’Ue negozierà con Israele ed Egitto, assumendo proprio quel ruolo di “hub energetico” che, almeno a parole, è negli obiettivi di Giorgia Meloni. Il problema però è che per raggiungere questi risultati servono infrastrutture, ovvero rigassificatori, terminal e nuovi gasdotti lungo tutto il territorio nazionale. Infrastrutture che in Italia il governo continua a rimandare, e le principali opposizioni a osteggiare.

Di più su questi argomenti: