Peggio di Sanremo

Il “no” dell'Academy a Zelensky e un presentatore “cento per cento cinese”

Priscilla Ruggiero

La presenza alla cerimonia iniziale della notte degli Oscar di Donnie Yen, star delle arti marziali, è stata contestata da numerosi attivisti. La petizione contro il “sostenitore del regime comunista cinese” e della sua repressione nei confronti dei cittadini di Hong Kong

Anche quest’anno, per la seconda volta consecutiva, l’Academy ha rifiutato la presenza (virtuale) del presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante la cerimonia degli Oscar che si terrà domenica 12 marzo. Zelensky, secondo la rivista Variety, aveva presentato richiesta tramite l’agente della Wme Mike Simpson di apparire con un video messaggio sulla Abc, che trasmette la cerimonia in diretta. Dall’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, i discorsi del leader ucraino sono stati accolti in numerose serate di premiazione e festival cinematografici: Cannes, Venezia, Grammy Awards, Golden Globes, Berlino – dove è stato presentato in anteprima il film di Sean Penn Superpower, sulla  leadership di Zelensky durante la guerra.

 

Non è il primo  “no” a un intervento pubblico. Già l’anno scorso, alla 94esima edizione degli Oscar,  il produttore Will Packer aveva annullato il video collegamento da Kyiv affinché l’Academy rimanesse “apolitica”. Poi, a settembre, c’era stato il rifiuto del Toronto Film Festival e lo scorso febbraio al Festival di Sanremo, dopo giorni di polemiche all’ipotesi di un videomessaggio – inizialmente previsto — è stata letta alle due di notte una lettera del presidente ucraino dal presentatore Amadeus. Eppure secondo una petizione online di “un gruppo di persone di Hong Kong”, lanciata dal noto attivista di Hong Kong Tong Wai-hung, la 95esima serata di Hollywood non sarebbe così apolitica  come vuole l’Academy. Più di 90 mila honkonghesi (e non) in pochi giorni hanno firmato la petizione su Change.org per la rimozione dell’attore di Hong Kong Donnie Yen come presentatore agli Oscar. Tong Wai-hung descrive Yen, 59 anni,  star di film wuxia,  di arti marziali, come un fervente “sostenitore del regime comunista cinese” e della sua repressione nei confronti dei cittadini di Hong Kong.

 

Vederlo presentare  la cerimonia sarebbe “un sanguinoso insulto al popolo di Hong Kong” poiché  l’attore, in un’intervista a fine febbraio a CQ Hype, ha ribadito la sua opposizione alle proteste pro democrazia del 2019 nell’ex colonia britannica. Non le ha definite delle proteste bensì “una rivolta”. Nel 2009 aveva rinunciato alla cittadinanza statunitense dichiarandosi “cinese al cento per cento”, e nel 2017 ha descritto l’incontro con il presidente  Xi Jinping “un grande onore”. Nel 2020 ha condiviso un video in cui festeggiava il 23esimo anniversario del ritorno di Hong Kong “alla madrepatria cinese”. Quest’anno Yen sembra essere stato premiato per la sua lealtà al Partito, con la nomina  nel Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (Cpcpc), come rappresentante del settore artistico e culturale di Hong Kong. Così, mentre la maggior parte dei registi indipendenti della città sono sempre più limitati a causa di una legge sulla censura che vieta la proiezione di film che potrebbero  “mettere in pericolo la sicurezza nazionale”, Yen, dopo aver partecipato alle lianghui, le due sessioni annuali del Partito,     fuori dalla Grande Sala del Popolo di Pechino si è impegnato a svolgere bene il suo lavoro: “Sono necessari più film d’azione cinesi che possano   diventare l’orgoglio della Cina e raccontare la storia della Cina”.  

 

Sempre nell’intervista del mese scorso, l’attore aveva criticato i media internazionali che “si concentrano solo sulle storie negative della Cina”: “La Bbc, la Cnn, non menzionano mai il lato vero. Ma ci sono io”, ha detto. Secondo gli autori della petizione, la presenza di Yen danneggia l’immagine e la reputazione dell’industria cinematografica e causa gravi danni ai diritti umani e ai valori morali, oltre a “negare il diritto del popolo di Hong Kong  a lottare per la propria libertà e democrazia”. L’Ukrainian World Congress, un gruppo di ucraini espatriati a Toronto, ha invece espresso “serie preoccupazioni per l’influenza russa sull’industria cinematografica di Hollywood”. Sia su Zelensky sia su Yen, l’Academy non ha detto nulla.