Non americano
Siamo tutti a rischio quando Ron DeSantis definisce la guerra in Ucraina una “disputa territoriale”
Il governatore della Florida stravolge il ruolo dell’America nella difesa delle democrazie, la scommessa di Vladimir Putin
Milano. Gli Stati Uniti hanno molti “interessi di vitale importanza”, cioè che riguardano la sopravvivenza stessa del paese, ha detto il governatore della Florida, Ron DeSantis: “Rimanere intrappolati sempre di più in una disputa territoriale tra Ucraina e Russia non è tra questi”. Conservatore con ambizioni presidenziali e una buona popolarità tra gli elettori del Partito repubblicano, DeSantis ha liquidato la guerra d’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina come una “disputa territoriale”, che quanto a ridimensionamento fa il paio con l’oscena “operazione speciale” di cui va parlando il Cremlino da più di un anno. DeSantis ha anche detto, nel caso non fosse chiaro che per lui in gioco non c’è la tenuta democratica del mondo: “Gli F-16 e i missili a lungo raggio dovrebbero essere fuori discussione: queste decisioni getterebbero gli Stati Uniti nel conflitto e ci avvicinerebbero a una guerra calda tra le due più grandi potenze nucleari del mondo. Questo rischio è inaccettabile”; e ancora: “Una politica di regime change in Russia, popolare tra gli interventisti a Washington, aumenterebbe notevolmente la posta in gioco, rendendo più probabile l’uso di armi nucleari. Tale politica non fermerebbe la morte e la distruzione della guerra, né genererebbe un costituzionalista filoamericano, madisoniano al Cremlino. La storia ci indica che il successore di Putin, in questa ipotesi, sarebbe probabilmente ancora più spietato di lui. I costi per raggiungere un risultato così incerto potrebbero diventare astronomici”.
Con questo intervento presso il pubblico filoputiniano della trasmissione su Fox News di Tucker Carlson, DeSantis si è posizionato, nel dibattito interno al Partito repubblicano, nell’area trumpiana, contro altri esponenti come l’ex vicepresidente Mike Pence e l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley che pure hanno avuto notevoli connivenze con il trumpismo ma che oggi riconoscono che in Ucraina si difende “la libertà” di tutto l’occidente. Poiché questi sono i nomi che circolano oggi per le presidenziali del 2024; poiché tra questi DeSantis è considerato solido e in grado di normalizzare gli eccessi di Donald Trump e di farli diventare politica (molti intendono questa cosa in modo promettente), l’aver espunto la difesa dall’aggressione russa dalla lista degli interessi nazionali da proteggere non è cosa di poco conto: non lo è per Kyiv, che resiste e contrattacca grazie al sostegno americano (sostegno militare, finanziario e valoriale); non lo è per l’Europa, che s’è convinta, unita, allineata grazie alla leadership del presidente americano Joe Biden; non lo è nemmeno per l’America stessa che da anni si tormenta sulle sue priorità, sulla sua sicurezza, sul suo ruolo nel mondo, sulla tenuta del suo sistema democratico.
Putin ha scommesso su questi tormenti, ha creduto non soltanto alla propaganda di Fox News ma anche alle teorie decliniste che davano per spacciati l’eccezionalismo americano (diventato sinonimo, anche per molto establishment conservatore, di imperialismo inefficace) e la capacità del paese che guida l’occidente di saper difendersi e difendere i suoi alleati. Se ora il Partito repubblicano vuole riconquistare la presidenza rilanciando la scommessa putiniana, ne va della sicurezza di tutti e dell’essenza stessa dell’americanità. Citando Biden poco prima del voto di midterm dell’anno scorso: “Ci sono molti candidati che non vogliono nemmeno accettare l’esito delle elezioni cui partecipano. Questa è la strada per il caos, è senza precedenti, è senza legittimità, è così un-American”. Le parole di DeSantis proiettano questo pericolo su scala globale, durante una guerra che si vince soltanto se l’America fa l’America.