difesa
Global combat sì, ma a metà
Annunciato in pompa magna da Tokyo e Londra, il Global Combat Air Programme (Gcap) per lo sviluppo dei fighter di sesta generazione è stato accolto tiepidamente dall’Italia, terzo partner del progetto che rischia di fare il socio junior nell’alleanza perché non è chiara sulla Cina
La Russia di oggi è la Cina di domani, e la strategia americana per mettere in sicurezza l’ordine mondiale liberale è anche la creazione di alleanze di Difesa come Aukus (tra America, Australia e Regno Unito). Il messaggio è: siamo insieme, siamo forti, abbiamo una forza offensiva e difensiva incomparabilmente superiore. Annunciato in pompa magna da Tokyo e Londra, il Global Combat Air Programme (Gcap) per lo sviluppo dei fighter di sesta generazione è stato accolto tiepidamente dall’Italia, terzo partner del progetto. Oltre al comunicato congiunto di dicembre, quando è stato dato il via libera alla partnership, nessun membro del governo italiano ha dato particolare rilievo all’ingresso dell’Italia in una “Aukus” tra Europa e Indo-Pacifico – al contrario di Regno Unito e Giappone. Domani a Tokyo si svolgono i primi colloqui bilaterali e trilaterali a livello di ministri della Difesa, e il ministro Crosetto è già da ieri in missione in Giappone. Eppure Palazzo Baracchini è stato quasi costretto a rilasciare un comunicato, oggi, in riferimento al Gcap e a una indiscrezione di Reuters che parlava dell’Italia come possibile “socio di minoranza”, con un quinto del contributo rispetto agli altri due paesi: “Questa notizia è totalmente speculativa”, si legge nella smentita.
Era stato lo stesso Crosetto, a dicembre, a dire a Reuters che “l’Italia può continuare solo se ha lo stesso peso del Giappone e della Gran Bretagna sulla tecnologia, sulla ricerca e poi, se sarà il caso, sui risultati”, con una ripartizione “33-33-33”. Eppure fonti governative del Foglio già allora parlavano di un accordo “che ci siamo ritrovati”, negoziato, per la verità, dal governo Draghi. E con una fortissima componente non tanto economica quanto politica, ovviamente anticinese, ampiamente manifestata da Londra e Tokyo: sarebbe questo il motivo di tanta preoccupazione della parte italiana, che è in una fase di immobilismo nella politica con la Cina, mai menzionata nemmeno nelle dichiarazioni ufficiali. Ma proprio questo rapporto ancora poco chiaro del governo Meloni con Pechino sarebbe alla base delle cautele di Londra e Tokyo nei confronti dell’Italia.
L'editoriale dell'elefantino