Assad va da Putin a sancire la sua riabilitazione. Il costo dell'inazione occidentale
A dieci anni dall'attacco chimico contro il popolo siriano
Mentre a Mosca si svolgeva la riunione dei macellai, a Idlib, regione ribelle martoriata dal terremoto, una gran folla è scesa per strada per ricordare il dodicesimo anniversario dall'inizio della rivoluzione sirana
Milano. Vladimir Putin ha accolto al Cremlino il dittatore siriano, Bashar el Assad, lo ha rassicurato sul suo sostegno imperituro e, davanti al suo governo – in prima fila c’erano il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il ministro della Difesa Sergei Shoigu – ha detto che darà tutto l’aiuto necessario per aiutare la Siria ad affrontare le conseguenze catastrofiche del terremoto del mese scorso. Mentre si svolgeva a Mosca questa riunione di macellai, a Idlib, regione ribelle martoriata dal terremoto, dalle bombe siriane e russe, dall’assedio, dalla fame e dalle bugie, una gran folla è scesa per strada, tra le macerie e il cielo grigio, per ricordare il dodicesimo anniversario dalla prima rivolta contro il regime di Assad, l’inizio della rivoluzione siriana in cui sono morte – secondo stime mai davvero aggiornate – almeno cinquecentomila persone, in cui sono state sfollate milioni di persone, in cui altrettante sono scappate sognando l’Europa senza spesso arrivarci.
L’inizio della rivoluzione coincide con la sistematica e crudele repressione da parte di Assad e dei suoi alleati, la Russia e l’Iran, fatta di torture, esecuzioni, bombe con i chiodi, bugie – centinaia di bugie per negare l’evidenza – e di armi chimiche. La riunione dei macellai fa parte di un progetto su scala più grande che riguarda la riabilitazione di Assad a partire dalla regione mediorientale per poi arrivare all’Europa, che ha ancora attivo un sistema di sanzioni contro Damasco (sempre meno efficace perché violato in tutti i modi possibili). L’iniziativa diplomatica dentro la Lega araba è partita dalla Giordania e potrebbe concludersi, nella plenaria prevista alla fine dell’anno, con una restaurazione ufficiale delle relazioni con Damasco. Al momento, secondo il Wall Street Journal, i paesi arabi hanno detto di essere disposti a dare miliardi di aiuti per la ricostruzione della Siria e di fare pressione su Bruxelles e Washington per addolcire le sanzioni. In cambio, Assad dovrebbe aprire il dialogo con l’opposizione siriana, accogliere soldati dei paesi arabi che controllino il ritorno dei rifugiati ora nei campi profughi dei paesi confinanti, smantellare il narcotraffico su cui si regge la disastrata economia siriana e, soprattutto, chiedere all’Iran di smetterla di espandere il suo potere in Siria.
Le richieste sono quasi impossibili, ma tutta la regione sta vivendo un momento di transizione eccezionale dopo l’accordo negoziato da Pechino sulla ripresa delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita: c’è una nuova corsa a riposizionarsi, a fare calcoli di convenienza il più accurati possibile, all’ombra ingombrante dell’aggressione della Russia all’Ucraina che ha stravolto il mondo. Questa frenesia di visite e patti non va sottovalutata. Dieci anni fa, Assad utilizzò le armi chimiche contro il suo popolo, a Goutha: morirono centinaia di persone, a noi restano negli occhi il lampo verde-azzurro della mattina dell’attacco e i bambini che vomitavano una sostanza biancastra e sangue prima di morire. Assad violò la linea rossa fissata dall’occidente, l’occidente promise una reazione militare che non sarebbe mai arrivata, finendo per consegnare il messaggio opposto: il dittatore siriano può farla franca. L’anno successivo, nel 2014, Putin invase per la prima volta l’Ucraina e quello dopo posizionò armi e soldati in Siria per annichilire la rivoluzione siriana. Il 2013 fu l’anno in cui i regimi realizzarono che l’occidente li avrebbe lasciati impuniti: se ne sono approfittati per un decennio.