tentativi diplomatici
In Yemen si misura la “pace” cinese tra iraniani e sauditi
Teheran promette di non armare più i ribelli. Il primo successo fragile di un patto che sta insieme con lo scotch
È il primo terreno di scontro tra i due paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche sette anni fa. Se la Repubblica islamica smettesse di armare di nascosto la milizia alleata, gli Houthi sarebbero spinti verso un accordo per cui è già in piedi un negoziato che da tempo non fa progressi
La prima domanda che si sono fatti tutti gli osservatori quando è stata annunciata la “pace” tra iraniani e sauditi sponsorizzata dalla Cina è stata: “Ok, ma quanto può durare?”. Teheran e Riad si annusano e si respingono da tempo e questo metodo di gestione delle relazioni diplomatiche è piuttosto tipico della Repubblica islamica dell’Iran. Ieri è arrivata la prima notizia – un’esclusiva del Wall Street Journal – che fa interpretare l’accordo annunciato una settimana fa come un po’ più solido di quanto fosse sembrato di primo acchito: l’Iran avrebbe accettato di smettere di armare i ribelli houthi nella guerra civile in Yemen. Gli houthi sono una delle milizie sciite finanziate dalla Repubblica islamica in medio oriente e quella in guerra con la coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita. Lo Yemen è il principale terreno di scontro tra i due paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche sette anni fa. Solo tra dicembre e marzo, gli Stati Uniti hanno sequestrato cinquemila fucili e un milione e mezzo di munizioni che erano destinati agli Houthi (e che ora Washington vorrebbe invece spedire a Kyiv). Se la promessa iraniana fosse implementata e se poi durasse più di qualche mese, sarebbe un fatto nuovo e importante. I funzionari americani e sauditi che hanno dato la notizia al Wall Street Journal dicono che – se la Repubblica islamica smettesse di armare la milizia alleata di nascosto – questa sarebbe spinta verso un accordo di pace per cui è già in piedi un negoziato che da tempo non fa progressi. Hans Grundberg, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, è stato a Teheran e subito dopo a Riad questa settimana per parlare di pace in Yemen e, almeno, di prolungare entro una settimana – prima del periodo di ramadan – il cessate il fuoco nel paese dove c’è la più lunga guerra civile ancora in corso del medio oriente. E’ una guerra che ha già fatto più di 150 mila morti.
Teheran non commenta la notizia sulle forniture di armi anche perché non ha mai ammesso di spedire droni e missili in Yemen in violazione dell’embargo. Per l’Arabia Saudita quei droni sono una ferita ancora aperta non tanto per come gli Houthi li hanno usati per conquistare pezzi di territorio in Yemen, ma perché a un certo punto la guerra civile yemenita le è entrata in casa. Nel 2019 i droni sono stati lanciati contro il territorio del regno e hanno colpito uno stabilimento Aramco ad Abqaiq e Khurais – che è a poco più di 150 chilometri dalla capitale – nell’est del paese. I sauditi hanno detto che i droni erano più di dieci, c’erano anche dei missili, ed erano tutte armi di Teheran.
Dopo anni di incontri tra le delegazioni dei due paesi a Baghdad, in Iraq, poco produttivi, se davvero entro due mesi ci sarà di nuovo un’ambasciata saudita a Teheran e un’ambasciata iraniana a Riad, la Cina potrà vantare un risultato. Oltre alla nuova influenza di Pechino nel Golfo persico, sarebbe ridimensionato lo sforzo occidentale per isolare la Repubblica islamica dell’Iran e diventerebbe più difficile per Israele cementare nuovi rapporti con i paesi arabi. Però, secondo Jesse Marks, che è un esperto di rapporti tra la Cina e il medio oriente, che ha studiato all’Università Tsinghua di Pechino ed è stato un consulente del Pentagono sia con l’Amministrazione Trump sia con Biden, il governo cinese è in grado di fornire uno spazio di dialogo agli iraniani e ai sauditi se i due paesi hanno realmente intenzione di andare d’accordo almeno per un periodo, ma non è in grado di dare garanzie né agli uni né agli altri appena qualcosa dovesse andare storto. In sostanza, ha scritto Marks su Foreign Policy, Pechino può solo constatare la pace o la guerra, non ha la forza e l’interesse di imporre il rispetto dell’accordo a una delle due parti per non far deragliare, di nuovo, i rapporti. La conclusione è che si tratta di un patto ad altissimo potenziale, ma che sta insieme con lo scotch.