Sui sentieri dei trasferimenti di armi dalla Polonia all'Ucraina

Micol Flammini

Varsavia manda quattro Mig-29 a Kyiv e smantella un piano russo per sabotare l'invio di equipaggiamenti

Basta piazzarsi a Rzeszów, in Polonia, per vedere il fermento dell’occidente nell’aiutare l’Ucraina. Rzeszów è uno dei punti in cui transitano i leader internazionali, spesso diretti da Volodymyr Zelensky, e uno dei punti in cui passano anche  la armi da mandare a Kyiv. La città polacca è l’avamposto del sostegno dell’Alleanza atlantica all’Ucraina e qui avevano concentrato le loro  attenzioni sei spie  che agivano per conto di Mosca. Ieri Varsavia ha annunciato di aver smantellato la rete di spionaggio che, per un lasso  di tempo non specificato, avrebbe tenuto sotto osservazione i nodi  di trasferimento di armi verso l’Ucraina e pianificato atti di sabotaggio per impedirne l’arrivo a destinazione. 

 

La Polonia ha annunciato che invierà a Kyiv quattro jet Mig-29, per dare forza alle difese aeree ucraine e mezzi che si stanno dirigendo verso Kyiv servono alla controffensiva di primavera, annunciata dal ministero della Difesa ucraino e che Mosca teme a tal punto da essersi disposta in assetto difensivo anche nella penisola di Crimea, trasformata dal 2014 in una roccaforte per le armi e i mezzi militari russi.  Per  fermare Kyiv, il piano di Mosca è fermare prima i suoi alleati e bloccare le vie dei rifornimenti. Percorrendo le strade polacche, salendo su un treno, si nota il fermento del paese che percepisce la vicinanza alla guerra come un’urgenza,  che ha spinto il paese a cambiare da un anno all’altro. Fermare la Polonia per fermare Kyiv era anche l’ordine della rete di spie, il cui compito era piazzare delle telecamere nascoste tra gli aeroporti e gli snodi ferroviari, in tutti i percorsi su cui fosse possibile registrare movimenti di armi e mezzi militari. Il vicepremier e ministro della Difesa, Mariusz Blaszczak, non ha rivelato nomi e cognomi degli arrestati, si è limitato a spiegare che probabilmente le spie erano arrivate nel territorio polacco dalla Bielorussia e che il loro arresto ha permesso di evitare gravi danni non soltanto alla Polonia, ma anche all’Ucraina.  In questi mesi Mosca ha provato a bloccare i rifornimenti di armi con le minacce, ha intimato agli alleati di Kyiv che così facendo sarebbero diventati parte della guerra. Da un anno le armi riescono ad arrivare nel territorio ucraino, i soldati vengono addestrati nei paesi occidentali, c’è uno scambio continuo e vitale che Mosca non è riuscita a interrompere e che ha provato a inceppare mandando delle spie in Polonia. 
 La Russia non ha commentato l’arresto, rapida e fin troppo loquace è stata invece la Bielorussia che  ha accusato Varsavia non soltanto di aver cucito un finto caso di spionaggio, ma di aver ingiustamente accusato dei cittadini bielorussi. La Polonia non ha escluso il coinvolgimento di Minsk, ma sono stati i media bielorussi a diffondere nomi e cognomi di alcune delle persone arrestate. Hanno  pubblicato foto, intervistato parenti e amici, tutto per dimostrare la loro innocenza e accusare la Polonia di aver iniziato una caccia alle streghe contro i bielorussi.  Varsavia non ha rivelato l’identità degli arrestati ma i nomi fatti dai bielorussi sono di persone improbabili: un ragazzo del 2004, una ragazza del 1994 e un uomo nato a Leopoli. Tutti e tre, secondo il racconto di Minsk, conoscevano bene la Polonia e la frequentavano da tempo. Nelle città polacche vive una comunità di bielorussi in fuga dal regime di Aljaksandr Lukashenka e l’intento  è quello di  farli sentire in pericolo. 

 

Mentre la Polonia annunciava lo smantellamento di una rete di spie che avrebbe potuto diventare pericolosa – non si hanno informazioni  su quali segreti avrebbe potuto rubare – a Rostov sul Don, nella Russia meridionale, ieri andava in fiamme la sede del dipartimento del servizio di frontiera dell’Fsb in seguito a un’esplosione che ha causato anche la morte di una persona. Non si sa cosa abbia provocato lo scoppio, ma non è il primo edificio, deposito, cisterna di carburante in Russia che va in fumo. Sono tutti episodi che rafforzano l’idea di una rete molto attiva che si muove contro il Cremlino e la sua guerra. 
 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)