Il rimpasto dell'esecutivo in Ucraina: tre ministri raccontano come si costruisce il futuro in guerra

Paola Peduzzi

Il governo del merito di Kyiv mostra quanta ipocrisia c’è nel liquidare la questione degli aiuti agli ucraini con la domanda: sapranno farne buon uso? Valori, democrazia, europeismo e memoria

Milano. Il Parlamento ucraino ha votato tre nomine del governo di Kyiv: Mykhailo Fedorov è stato confermato ministro per il Digitale e ora è anche vicepremier; Oleksandr Kamyshin, ex direttore delle Ferrovie, è diventato ministro delle Industrie strategiche; Oksen Lisovyi è stato scelto come ministro dell’Istruzione e della Scienza. Si tratta di persone con esperienze e storie interessanti e meritorie, che prendono ruolo e potere in un governo che tendiamo sempre a rappresentare come corrotto e opaco, tanto che molte resistenze nel mandare aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina precipitano sulla questione: siamo sicuri che il governo ucraino saprà farne buon uso? Sull’utilizzo inappropriato dei fondi europei ci sarebbe molto da opinare anche e soprattutto dalle nostre parti, ma il pregiudizio nei confronti di Kyiv è duro da sciogliere, nonostante gli sforzi che fanno il presidente Volodymyr  Zelensky e  gli stessi ucraini per mostrare di meritarsi il sostegno internazionale. Anche in questo senso, in realtà, esiste una distorsione:  come ancora resiste in alcune parti del dibattito un’equidistanza tra l’Ucraina aggredita e la Russia aggressore, così rimane una equiparazione tra la propaganda russa e quella ucraina.

 

Si sa che Mosca usa strumenti di disinformazione  capillari e  rodati negli anni (quanto tempo è che discutiamo delle ingerenze russe all’estero?) ma è con una certa gongolante sorpresa che alcuni dicono: c’è anche la propaganda ucraina eh, bisogna stare attenti. Certo che c’è, è talmente sfacciata che a volte diventa  struggente perché mostra come gli ucraini cerchino  di conquistare la fiducia dell’occidente, come se fossero consapevoli del fatto che non è scontata, che devono meritarsela. Non scappiamo, siamo coraggiosi, sappiamo lottare contro la corruzione: ci meritiamo il vostro aiuto. Ma il sostegno all’Ucraina non è determinato dal fatto che gli ucraini sono forti, resistenti, coraggiosi, eroici, solidali e infaticabili: il sostegno dipende dal fatto che gli ucraini hanno ragione a difendersi (e a difenderci) da un attacco brutale e immotivato. Se non fossero straordinari come sono, andrebbero sostenuti comunque, anche se è naturalmente   plausibile pensare che questa resistenza – il carattere ucraino –  sia stata determinante nel contenere e respingere l’assalto russo e nell’arrivare fin qui, a inverno minaccioso finito.

 

Poi c’è il merito, personale e di sistema, che nella democratica Ucraina viene premiato. Le nuove nomine del governo di Kyiv ne sono la dimostrazione. Mykhailo Fedorov è il ministro trentaduenne che chiedeva su Twitter a Elon Musk di aiutare la resistenza ucraina contro la Russia con i suoi Starlink, nei primissimi mesi di guerra, quando si scoprì non soltanto che  Zelensky non sarebbe stato travolto dai carri armati di Putin e non avrebbe lasciato il paese, ma anche che l’Ucraina sarebbe rimasta sempre connessa, un filo diretto con i cittadini sotto attacco e con il resto del mondo che si sarebbe rivelato salvifico. Fedorov era pronto, non forse a questa aggressione indiscriminata,  ma a rimanere collegato con il mondo sì: aveva passato parecchio tempo nella Silicon Valley, aveva chiesto di investire sulla tecnologia, aveva costruito la predisposizione del paese a trovarsi preparato. Oliver Carroll, inviato dell’Economist, ha raccontato che Fedorov è ora responsabile anche del programma dei droni e gli ha detto che è in corso una grande riforma dentro le forze armate con sessanta nuove squadre di droni e un “imminente” cambiamento dell’utilizzo dei droni nella difesa dalla Russia. Carroll dice che il vicepremier è “una delle forze che guidano lo sviluppo dei droni in Ucraina”, che è il frutto di una pianificazione e anche di una buona dose di flessibilità: si fa la guerra con gli strumenti che si ha a disposizione.

 

Oleksandr Kamyshin, con il suo codino e il fisico statuario, ha fatto funzionare i treni per tutta l’Ucraina anche quando sembrava che gli attacchi indiscriminati di Mosca a obiettivi civili avrebbero piegato il paese. Riconoscibile e molto attivo sui social, Kamyshin ha raccontato al Foglio che la guerra non è mai stata un alibi per giustificare inefficienze o ritardi e che anzi sistemare binari e convogli colpiti così come ricollegare nel giro di poche ore le città liberate dall’occupazione russa sono diventati essi stessi modi di resistere e di rimanere uniti. “Se entrassimo ora nell’Unione europea, alzeremmo la media dei treni che arrivano in orario”, ci ha detto scherzando, ma è vero che la strada per entrare in Europa viene costruita anche attraverso le ferrovie, ricostruendo binari secondo gli standard utilizzati nell’Ue e avviando progetti come quello sull’alta velocità con la Polonia. Kamyshin ha avuto un ruolo straordinario in questo anno di guerra, ha fatto in modo che i treni diventassero un simbolo di sicurezza per gli ucraini, e proprio per questi suoi meriti ora il governo gli ha chiesto di allargare il suo ambito di azione e di occuparsi dei settori strategici dell’industria ucraina, per lo più devastati dalla guerra, ma necessariamente da sistemare per sopravvivere e cominciare anche a pensare al futuro.

 

Oksen Lisovyi, nominato ministro dell’Istruzione, è il meno conosciuto dei tre fuori dai confini ucraini. In questi giorni è circolata sui social una sua foto che lo ritrae in mimetica su una brandina da campo mentre legge una raccolta di Taras Shevchenko, “Malij Kobzar”. Lisovy faceva l’insegnante, aveva guidato (riformandola) l’Accademia minore delle scienze, dove si selezionano talenti, e quando è scoppiata la guerra si è  arruolato volontario nella 95esima brigata aerea d’assalto dell’esercito ucraino. Aveva assorbito l’urgenza di mobilitarsi e difendersi fin da ragazzino: è figlio del dissidente sovietico Vasyl Lisovyi, che fu arrestato quindici giorni prima della nascita di Oksen perché aveva difeso altri dissidenti e perché faceva pubblicare testi vietati dal regime sovietico. Vasyl avrebbe passato undici anni in campi di lavoro e in esilio, dopo essere stato condannato in un processo in cui il suo avvocato era sua moglie, Vera, anche lei insegnante, che era stata licenziata dal suo lavoro fin dal primo arresto, con due figli piccoli. Poiché ai figli dei dissidenti non era permesso fare gli studi superiori, Oksen ha frequentato una scuola di ceramica, ha fatto l’istruttore di scherma, si è fatto prestare 200 dollari dai suoi genitori per rilevare una pompa di benzina e farne il suo impiego. Poi, quando il regime sovietico è caduto, ha potuto studiare, si è dedicato ai ragazzi e agli studenti e ora ha il compito, da ministro, di rimettere in sesto il sistema d’istruzione devastato dalla guerra, e di indicare agli studenti che vedono soltanto bombe e distruzione da tredici mesi che la strada del merito, della democrazia, dell’Europa è aperta, e accogliente.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi