Il fronte del Donbas
Kyiv è famosa (e vincente) per i suoi attacchi mirati, ma a Bakhmut adotta la tecnica del logoramento
Gli ordigni esplosi a Mariupol e a Melitopol e il talento ucraino, da non sprecare, per le operazioni "cotone"
In Ucraina c'è un dibattito: ha senso la strategia di difendere a caro prezzo Bakhmut pur di logorare i russi o bisogna cambiare metodo e guardare altrove (più a sud)?
Alle otto di mattina di ieri, a Mariupol, un ordigno che qualcuno aveva piazzato sotto l’auto del capo della polizia nominato dai russi, Mikhail Moskvin, è esploso. Moskvin sta relativamente bene solo perché c’è stato un errore tecnico di pochi secondi: nel momento in cui l’automobile è saltata in aria lui si trovava ad alcuni metri. Secondo i canali d’informazione di Mosca, Moskvin è sopravvissuto ma è in cura perché ha subìto un trauma nella caduta e forse è stato ferito da piccole schegge. A Novotroitskyi, un villaggio non lontano, ha preso fuoco un deposito di munizioni russe. Un’ora dopo l’attentato fallito contro Moskvin, a Melitopol è andato in fiamme un pezzo di un palazzo che ospita le autorità di occupazione. E’ una sequenza di quel tipo di operazioni che gli ucraini chiamano “bavovna”: cotone.
La parola “bavovna” è stata inaugurata dai blogger militari ucraini sui social network e poi è diventata di uso comune anche nei bollettini ufficiali e nei resoconti delle autorità. Viene utilizzata quando ci si vuole riferire alle esplosioni che sono una conseguenza degli attacchi di Kyiv contro le infrastrutture militari russe, i depositi di munizioni e, per estensione, anche i raggruppamenti di soldati e i loro comandanti. Sia quando si tratta di operazioni precise da lontano, come quelle con i lanciarazzi americani Himars, sia quando si tratta di operazioni di successo fatte sul posto da partigiani e da truppe speciali che si muovono in incognito nei territori occupati. E’ un termine che ha senso per due motivi: perché nelle immagini che circolano in rete il fumo che si alza nei punti colpiti assomiglia a dei batuffoli, ma soprattutto perché quando i media russi riferiscono di questi attacchi usano spesso la parola “botto” invece che “esplosione”, perché permette di rimanere vaghi sulle cause e minimizzare gli eventi. “Botto”, in russo, si scrive allo stesso modo di “cotone”.
Le operazioni “cotone” sono quelle che hanno reso famosa Kyiv in questa guerra totale che le ha dichiarato Mosca, e quelle che le hanno permesso di riconquistare prima la zona di Kharkiv e poi quella di Kherson. Oggi, proprio Melitopol e Mariupol sono le due città considerate gli ambiziosi obiettivi finali di una prossima controffensiva ucraina nel sud. Le operazioni “cotone” sono anche l’opposto della strategia russa (in realtà sovietica) del logoramento tramite carneficina che ha adottato l’esercito di Mosca in Donbas, ma che oggi sta imitando – rivendicandolo – anche quello di Kyiv a Bakhmut. A metà febbraio alcuni indizi dati dai movimenti sul campo avevano fatto pensare che fosse imminente una “ritirata strategica” degli ucraini da quella città poco strategica dell’est. Avrebbe significato dare retta a un consiglio ricevuto un mese prima dagli alleati americani (e riportato dalla Cnn), secondo cui sarebbe stato più avveduto salvare i soldati da un sacrificio inutile per riposizionarli in direzioni a più alto potenziale: verso i territori ancora occupati del sud. Poi il presidente Zelensky, ma soprattutto il capo di stato maggiore Valeriy Zaluzhny e il generale Olexandr Syrsky che comanda le forze di terra, hanno detto che non avevano alcuna intenzione di abbandonare Bakhmut. Sia Zaluzhny sia Syrsky hanno fatto capire che rimanere era vantaggioso perché, anche se in quel punto della linea di contatto muoiono moltissimi soldati ucraini, i russi che muoiono sono molti di più (anche cinque volte tanti): Bakhmut da un certo momento in poi è stata letta come una trappola utile a esaurire buona parte degli invasori fino a renderli esausti e incapaci di proseguire gli attacchi altrove. La visita di Zelensky vicino alla cittadina e al fronte la settimana scorsa ha ribadito questa linea.
C’è un dibattito (un conflitto) su questo punto a Kyiv che negli ultimi giorni è emerso in modo più esplicito. Da una parte di recente sono state pubblicate molte letture di funzionari ucraini e occidentali secondo cui gli attacchi russi intorno a Bakhmut sono stati talmente costosi che, come conseguenza, la “grande” offensiva russa starebbe già culminando. Ce ne sono molte altre – anche di comandanti ucraini schierati in Donbas – secondo cui sarebbe meglio tornare in fretta a un metodo di conduzione del conflitto che guardi più alle “operazioni cotone” e meno alla guerra d’attrito. La prima ragione di questa posizione è che Kyiv non ha un bacino potenziale di soldati paragonabile a quello di Mosca (che è tre volte e mezzo più numeroso) e ha già faticato a reperire soldati nell’ultima mobilitazione. La seconda ragione è che l’offensiva russa sarebbe lenta e poco efficace per i difetti che l’esercito di Putin ha manifestato dall’inizio, e non necessariamente perché la strategia di esaurire le risorse del nemico continuando a difendere a caro prezzo Bakhmut stia funzionando. Il punto è che i russi hanno colto il ragionamento ucraino e, nell’ultima riorganizzazione, hanno deciso di schierare altrove le proprie unità migliori.
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