la politica estera del governo
Meloni non sa che fare con la Cina e allora manda il Cavour in Asia
Sicura sulla Russia, più vaga sui rapporti con Pechino. La missione dell'ammiraglia della Marina nel Pacifico forse non sarà sufficiente a fugare tutti i dubbi degli alleati. Quando andrà in Cina la presidente del Consiglio? E che si fa con la Via della Seta?
L’Italia manderà presto nell’Indo-Pacifico la sua nave da guerra più importante, la portaerei Cavour. La notizia, ufficializzata qualche giorno fa dal sottocapo di stato maggiore della Marina militare, l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, (come anticipato da Gabriele Carrer su Formiche qui) è confermata al Foglio da diverse fonti militari ma non da Palazzo Chigi. Il governo italiano non vuole ancora ufficializzare l’operazione del Cavour nel Pacifico, forse perché aspetta di fare il grande annuncio durante il G7 di Hiroshima a maggio, ma forse anche per una questione d’opportunità diplomatica.
Oggi il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez atterra a Pechino per incontrare il leader Xi Jinping, e nelle stesse ore la presidente taiwanese Tsai Ing-wen inizia il suo viaggio in America – dove forse incontrerà anche lo speaker della Camera statunitense Kevin McCarthy nonostante le minacce di Pechino. Negli ambienti diplomatici, però, si continua a parlare con insistenza di una prossima visita in Cina pure della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Forse proprio subito prima della visita in Giappone in occasione del G7.
Da tempo gli alleati euroatlantici chiedono all’Italia una maggiore presenza militare nelle operazioni di deterrenza nel Pacifico. La Germania e la Francia sono già da tempo impegnate, e all’appello, nell’invio di navi da guerra che svolgono operazioni di “libertà di navigazione”, mancava solo l’Italia – l’unico paese del G7 ad aver aderito alla Via della Seta cinese quattro anni fa. Perché quando si parla di operazioni di “libertà di navigazione” si parla soprattutto di Repubblica popolare cinese: da più di dieci anni Pechino militarizza il mar Cinese meridionale e, negli ultimi mesi, ha intensificato sia la pressione militare su Taiwan sia le esercitazioni militari marittime contro il Giappone – spesso in tandem con la Russia di Putin.
La Marina italiana ha confermato quindi che per la prima volta l’Italia manderà nell’Indo-Pacifico sia la portaerei Cavour sia il pattugliatore d’altura Francesco Morosini, giovanissimo gioiello di Fincantieri. Non è stato ancora deciso quale sarà la rotta delle due navi e se, per esempio, attraverseranno lo Stretto di Taiwan in formazione con navi da guerra di alleati, come succede spesso, o se si limiterà a un percorso meno esplicitamente anticinese. Se davvero il Cavour dovesse arrivare nelle zone più calde dell’Indo-Pacifico attorno alla fine dell’anno, il suo passaggio coinciderebbe con la scadenza del memorandum d’intesa sulla Via della Seta con Pechino, e quindi con l’eventuale decisione del governo Meloni di uscirne – con tutte le conseguenze dal punto di vista della eventuale rappresaglia economica cinese – oppure restarci. Quest’ultima opzione sarebbe forse ritenuta meno sensibile per i partner del G7 nel caso in cui l’esecutivo italiano garantisse una chiara posizione almeno militare nel Pacifico: oltre ai pattugliamenti, i partner vorrebbero che Roma esplicitasse una visione più politica, e non solo economica, dell’ingresso dell’Italia nel Global Combat Air Program (Gcap) con Regno Unito e Giappone, che servirà allo sviluppo del jet da guerra del futuro e quindi anche alla condivisione di segreti militari. Del resto, è un interesse anche italiano che quell’area resti navigabile e non militarizzata dalla Cina: è lì che passa oltre la metà del commercio globale e quasi la totalità del commercio via mare dall’Asia all’Europa.
Senza mai menzionare esplicitamente la Cina, Meloni sta lavorando a un equilibrismo con Pechino che non è riuscito praticamente a nessuno, perché al di là della Via della Seta, prima o poi la coercizione economica cinese colpisce. E’ per questo che al summit delle democrazie dell’Amministrazione Biden l’ex segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha proposto un “articolo 5 economico”, ispirato all’articolo della Nato che stabilisce che un attacco militare a uno degli alleati è considerato un attacco a tutti. L’alleanza delle democrazie dovrebbe “produrre la stessa deterrenza e solidarietà in ambito economico che la Nato produce in ambito di sicurezza”.