FACCE DISPARI
“La Russia dica addio al sogno dell'impero”, ci dice lo storico Federigo Argentieri
L'influenza russa in Italia, le difficoltà dell'esercito russo, la minaccia nucleare e il futuro di Putin. Intervista al docente di Scienze Politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs
La Russia forse ha già perso alla “resa dei conti più che millenaria” con l’Ucraina e deve rassegnarsi ad accantonare il “sogno imperiale”, anche se gli effetti di questo fallimento restano un’incognita. È la convinzione di Federigo Argentieri, docente di Scienze Politiche alla John Cabot University e direttore del Guarini Institute for Public Affairs. Studioso da venticinque anni della realtà ucraina, ha contribuito alla pubblicazione in italiano del celebre studio di Robert Conquest sull’Holodomor, la carestia del ’32-33 con cui Stalin cercò di sterminare la popolazione per fame.
È preoccupato, Argentieri, della narrazione filorussa che ancora fa breccia in Italia in ambienti disparati, non solamente politici. A cosa si riferisce?
L’influenza russa è presente in modo trasversale non solo nei partiti ma nei sindacati, nei poteri locali e nelle università, insomma nella società civile. E non ne sono immuni alcuni gangli dello Stato, fortunatamente in misura non allarmante, ma c’è chi è più leale verso Mosca che verso l’Occidente.
Quanto è pervasiva quest’influenza e quale ne è l’origine?
Più che pervasiva è intrusiva. L’origine è duplice: in primo luogo come residuo del periodo sovietico, quando si proiettava sul Pci e la Cgil malgrado gli sforzi di Berlinguer e Lama, poi di Trentin, per recidere i legami con Mosca. In secondo luogo è effetto della campagna acquisti che Putin avviò nel primo decennio di questo secolo ed è continuata, reclutando sponde fra i nuovi partiti in Italia come in Francia, Gran Bretagna, Svezia, Spagna e Germania, per non parlare dell’Ungheria. Nel nostro Paese ha incontrato favori fra la Lega e i 5 Stelle, ma anche nell’estrema destra ed estrema sinistra.
L’attuale governo è però nettamente atlantista.
Merito soprattutto di Meloni, Crosetto e Tajani. Vedo piuttosto minore chiarezza nelle posizioni del Pd: sembra l’asino di Buridano, preoccupato di non perdere consensi all’ala destra ma desideroso di rastrellarli a sinistra.
È davvero convinto che la Russia abbia perso la partita?
Lo stallo a Bachmut, lo scarso controllo persino delle quattro regioni annesse, l’affidamento a truppe mercenarie, la necessità di nuovi reclutamenti, il lancio di missili a casaccio sono sintomi evidenti. Pure se per ipotesi disgraziatissima gli ucraini perdessero territori, non mollerebbero, alimentando la guerriglia partigiana. Ma Zelenskyj si sta muovendo in modo sagace, credo abbia assimilato Sun Tzu e von Clausewitz. Inoltre mostra grande capacità mediatica.
Il ricorso al potenziale nucleare è solo una minaccia?
Se i russi impiegassero un’arma nucleare tattica sarebbe una ulteriore, ignobile violazione del Memorandum di Budapest e credo che in quel caso la Nato abbia un piano di annientamento, con armi convenzionali, del loro potenziale bellico. Ma ventilare quest’ipotesi rientra più che altro in quelle vecchie strategie dello spavento che fanno dire a qualcuno: basta con le armi all’Ucraina.
Le sanzioni occidentali quanto sono servite?
Fin dall’inizio il loro effetto fu stimato a media e lunga scadenza, dunque hanno appena cominciato a produrre conseguenze sull’economia russa.
Qual è la posta in gioco per Mosca?
Siamo giunti a una resa dei conti più che millenaria con la Rus di Kyiv, come sostiene Serhij Plochij, il massimo studioso di storia ucraina. La Russia vuol affermarsi quale erede universale di Roma imperiale, ma è una pretesa respinta dal punto di vista religioso, come ha dichiarato il patriarca di Costantinopoli, e dal punto di vista politico, sia dentro sia fuori la Federazione russa. Bisogna che a Mosca si rassegnino a trovare un’identità di Stato nazione, abbandonando velleità disastrose. L’Ucraina nel trentennio di indipendenza ha sviluppato istituzioni civili democratiche decorose e aveva optato per la Ue dieci anni fa. Quando Janukovich soggiacque alle lusinghe di Putin si scatenò una rivolta mostruosamente calunniata: Putin ripete le bugie dei suoi predecessori.
Ossia?
Quando a Berlino est nel ’53 operai e studenti misero a soqquadro la città, si disse che i carri sovietici erano intervenuti contro un putsch nazista, cosa che comunisti e socialisti italiani ripeterono a pappagallo; tre anni dopo a Poznan in Polonia ci fu la rivolta degli operai polacchi e Togliatti la distorse attribuendola ai “nemici di classe”; stesse bugie per Budapest e per Praga, dove nel ’68 arrivarono le truppe sovietiche e non se n’andarono fino al crollo dell’Urss.
Il futuro di Putin?
Impossibile predirlo, soprattutto dopo il mandato di cattura spiccato a L’Aia. Biden e la Nato vogliono che la vittoria sia soltanto ucraina, anche per non offrire pretesti al Cremlino.
Gli sbagli dell’Occidente?
Rinunciare alla politica di Bill Clinton, che prevedeva il coinvolgimento della Russia. Poi prevalse la linea di Cheney e Rumsfeld e Putin si sentì messo all’angolo, soprattutto dopo l’indipendenza del Kosovo e la vicenda libica: il politologo Ivan Krastev racconta che egli guarda spesso il video dell’uccisione di Gheddafi, ossessionato dall’idea di fare quella fine. Stiamo scontando anche gli errori commessi a suo tempo da Bush e Obama e le forzature dei francesi in politica estera.
Perché Putin non invase l’Ucraina durante la presidenza Trump?
Resta un mistero, perché gli Stati Uniti non avrebbero reagito e l’Europa si sarebbe trovata in seria difficoltà. Se Putin avesse agito nel 2017, avrebbe avuto quattro anni per chiudere l’operazione. Forse s’è mosso dopo perché pensava di arrivare a Kyiv in pochi giorni. Un altro clamoroso sbaglio.
L'editoriale del direttore