patriot e patrioti

Per l'attentato di San Pietroburgo il Cremlino accusa Kyiv e l'opposizione

Micol Flammini

Il nemico esterno (gli ucraini) e quello interno (gli oppositori) servono a giustificare la guerra e la repressione politica. Putin però ha anche un terzo nemico che per ora non è accusabile pubblicamente: sono i Prigozhin, gli Strelkov, "i patrioti" che contestano la strategia dell'invasione

L’attentato al propagandista Vladlen Tatarsky non è stato rivendicato da nessuno e Mosca ha dovuto scegliere a chi dare la colpa dell’esplosione avvenuta domenica nel bar Patriot di San Pietroburgo. Le possibilità erano tre: il governo di Kyiv, l’opposizione russa, le frange degli arrabbiati con il Cremlino che  rivendicano una nuova gestione della guerra e pretendono il licenziamento del ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Alla fine la scelta del colpevole da parte del Cremlino è stata ibrida ed è ricaduta un po’ sull’Ucraina e  un po’  sugli oppositori politici del presidente russo Vladimir Putin. Il primo rappresentante ufficiale delle istituzioni a parlare è stato l’ex premier  Dmitri Medvedev che ha invitato i servizi di sicurezza a raccogliere informazioni su chi in Russia sta ricevendo dei finanziamenti da Kyiv.

 

Per l’attentato è stata arrestata Daria Trepova, la donna che ha portato a Tatarsky una statuetta con l’esplosivo. Il ministero dell’Interno russo ha  rilasciato il video di un interrogatorio in cui Trepova  confessa di aver portato il pacco, ma dice che non ne conosceva il contenuto e davanti alle telecamere che la riprendono chiede di poter svelare in seguito il nome del mandante. Daria Trepova  era già  stata arrestata durante le  proteste per la pace e il Comitato nazionale antiterrorismo russo (Nac) ha sottolineato i suoi legami con Alexei Navalny, l’oppositore russo incarcerato in una colonia penale.  L’attacco a San Pietroburgo non ha soltanto provocato la morte del propagandista, ha ferito anche trentadue persone e il Cremlino ha puntato sul nemico che vuole che i suoi cittadini temano di più. La guerra è arrivata in casa e  Putin  fa installare sistemi antimissile Pantsir vicino alle sue residenze:  fomentare la paura del nemico esterno – gli ucraini – e interno – l’opposizione, serve a creare un senso del pericolo che giustifichi l’invasione dell’Ucraina e la repressione nel paese. Il presidente ucraino Zelensky ha risposto alle accuse dicendo  che non ha tempo per pensare ai problemi di Mosca. 

 

Il locale in cui è stato compiuto l’attacco appartiene a Evgeni Prigozhin, il finanziatore del gruppo  Wagner, che ha confermato di aver dato il bar al “movimento patriottico Kiber front Z”, di cui Tatarsky faceva parte, per tenere dei seminari. Prigozhin oggi ha appeso in quella che dice  essere Bakhmut (ma gli ucraini smentiscono) una bandiera con il volto del propagandista e ha affermato che il “regime di Kyiv” non c’entra, esponendosi in contrasto ancora una volta con la linea del Cremlino. E non è il solo. Il terzo nemico del presidente è il gruppo di oltranzisti, che avrebbe voluto iniziare la guerra già nel 2014 e che dei fallimenti sul campo di battaglia stila una lista di colpevoli che di mese in mese si avvicina sempre di più a Putin. Alcuni di questi uomini nel fine settimana hanno annunciato la creazione del club “dei patrioti arrabbiati”, e il più arrabbiato di tutti è Igor Girkin, detto Strelkov che vuol dire “sparatore”, ex agente dell’intelligence russa, mandato in Crimea nel 2014, poi diventato comandante delle milizie di Donetsk e oggi castigatore della linea, che definisce morbida, contro l’Ucraina. A questo gruppo e  ai dissidi con Prigozhin, per il momento il Cremlino non dà spazio pubblicamente. Non mette in luce una faida che può determinare il futuro  della guerra – se la Wagner smettesse di combattere Mosca avrebbe ancora più difficoltà – e anche  del potere di Putin. 

 

Oggi a Melitopol, la città al sud dell’Ucraina occupata dai russi, un funzionario filorusso è rimasto ferito durante l’esplosione della sua macchina. E’ stato tra gli organizzatori dei falsi referendum di annessione a Mosca. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)