Hamas attacca Israele dal Libano

Micol Flammini

Più di trenta missili colpiscono lo stato ebraico, che indaga sulle responsabilità dell’Iran. La rete di Teheran contro Gerusalemme non è più solo militare, ma anche diplomatica

Roma. Dal sud del Libano più di trenta missili hanno cercato di raggiungere il territorio dello stato ebraico, costringendo gli israeliani a correre nei rifugi, mentre il sistema di protezione Iron Dome fermava decine e decine di razzi. Una minima parte ha eluso la difesa israeliana e due cittadini sono stati feriti. Erano due mesi che il premier Benjamin Netanyahu non convocava una riunione del gabinetto  di sicurezza, indispensabile per decidere come reagire agli attacchi contro Israele   che nei primi giorni della Pasqua ebraica sono arrivati da ogni lato. Mercoledì, e anche ieri mattina, da Gaza, dopo gli scontri nella moschea di al Aqsa. Israele ha risposto colpendo nella Striscia alcuni depositi di armi dei terroristi di Hamas. Un altro pericolo è arrivato dalla Siria, quando Gerusalemme ha visto arrivare un sospetto drone iraniano. La tensione interna delle scorse settimane, trascorse a discutere la riforma della Giustizia, si è tramutata in una tensione ai confini molto  intensa e il numero di missili sparati secondo i media israeliani   ricorda l’estate del 2006, quando Israele e  Hezbollah combatterono una guerra in Libano che portò alla morte di 160 israeliani, la maggior parte soldati, e 1.200 libanesi, centinaia erano combattenti delle milizie sciite. Questa volta però una fonte di Hezbollah ha detto al canale al Arabiya che la responsabilità è di gruppi palestinesi in Libano. Anche l’esercito israeliano ha escluso che Hezbollah sia l’esecutore materiale dell’attacco: è stato Hamas, ma è difficile credere che  il gruppo terroristico sostenuto dall’Iran, non abbia dato almeno l’approvazione. 

 

Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, mercoledì era a Beirut e aveva poi annullato una visita prevista per il giorno successivo (ieri)  nel sud del Libano e aveva in programma un incontro con il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah. Anche il Jihad islamico ha gioito per il lancio di missili, li ha definiti “un’operazione eroica” per vendicare i fatti di   al Aqsa. Sul Monte del Tempio gli scontri erano iniziati martedì notte dopo che un gruppo di uomini con il volto coperto si era barricato dentro la moschea  armato di pietre, mazze e fuochi d’artificio e prendendo in ostaggio i fedeli all’interno. Gli aggressori si sono rifiutati di aprire alla polizia israeliana, che è stata aggredita subito dopo l’irruzione. I gruppi terroristici attorno a Israele difficilmente si coordinano, l’attacco di uno genera solitamente una reazione a catena sui vari confini. Questa volta però è Hamas che si è mossa su tutti i lati, con il plauso degli altri. Per l’esercito israeliano adesso  è  importante capire il grado di coinvolgimento dell’Iran. Gli Stati Uniti hanno detto di essere  preoccupati, hanno chiesto calma, di non aumentare la tensione, ma Israele deve dimostrare che l’immagine di debolezza che ha proiettato nelle ultime settimane  non corrisponde alla realtà. 

 

Nel 2020 Benjamin Netanyahu aveva firmato gli Accordi di Abramo che aprivano alla normalizzazione nei rapporti con alcuni paesi arabi. Quella firma aveva lasciato intravedere la possibilità di altre firme, di una coalizione sempre più ampia pronta a dialogare con Gerusalemme e sempre meno interessata ai contatti con i gruppi terroristici. Erano tutti accordi in funzione anti Iran e con il tacito consenso dell’Arabia Saudita. Nel giro di poche settimane tutto è cambiato: Teheran e Riad hanno ripreso i rapporti diplomatici attraverso la mediazione cinese e il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha accettato l’invito del re saudita Salman per una visita, cosa impensabile fino a poco fa. L’Iran sta anche lavorando alla ripresa di piene relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti. Sabato il ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, ha visitato il Cairo, non accadeva da dieci anni e la visita ha rappresentato un importante passo di normalizzazione tra un alleato chiave saudita e un alleato chiave iraniano. Questa rete per Teheran ha una funzione anti israeliana e punta sul momento di debolezza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)