Lo scenario
Il dilemma dell'Armenia: lo arrestiamo Putin o no?
La ratifica dello statuto di Roma costringe Erevan a cercare una legge per restare in bilico tra la Corte penale internazionale e la Russia, con cui condivide un'amicizia soffocante
L’Armenia si trova davanti a una scelta complessa: cercare giustizia per le vittime dei crimini azeri o salvare l’amicizia soffocante, ma per ora senza alternative, con Mosca. A portare Erevan a questo bivio è stata la decisione del governo, guidato dal leader della rivoluzione democratica del 2018 Nikol Pashinyan, di iniziare l’iter per la ratificazione dello statuto di Roma, scelta che estenderebbe sul paese la giurisdizione del tribunale dell’Aia. Una mossa politica ideata per portare l’attenzione sulle conseguenze del conflitto col vicino Azerbaigian ma pensata prima che la corte diramasse il suo mandato d’arresto contro Vladimir Putin.
Per anni il ricorso alla corte internazionale non è stata una via che i governi armeni hanno praticato molto poiché il nodo del contendere con Baku riguardava la repubblica autonoma del Nagorno Karabakh, un enclave armena in territorio azero che sebbene fino al 2020 assieme alle regioni circostanti fosse sotto il controllo delle truppe di Erevan che ne difendevano l’indipendenza, non era comunque di fatto considerato parte dello stato armeno. Con la ratifica del trattato di Roma infatti la giurisdizione della corte si sarebbe allargata solo sull’Armenia lasciando fuori il Nagorno Karabakh. Un anno dopo la guerra del 2020, che ha visto il rovesciamento del controllo armeno sulla regione del Karabakh un fenomeno territorialmente più irrilevante ha però radicalmente cambiato gli equilibri giuridici e internazionali del conflitto. Nel 2022 l’Azerbaigian ha preso il controllo di circa 50 chilometri quadrati all’interno del confine armeno, decretando di fatto una micro invasione. L’Armenia del sud è una lingua di terra che si allunga verso l’Iran schiacciata da entrambi i lati dal confine azero a causa dell’exclave del Nakhchivan, e quando nel 2021 le truppe di Baku si appropriarono di una altro pugno di chilometri quadrati verso il villaggio di Djermuk, causando quasi 100 perdite tra le file armene, a Erevan si iniziò a sospettare che il piano azero fosse quello di spezzare l’Armenia in due. Il ricorso alla corte internazionale diventava quindi uno strumento necessario per congelare quella micro invasione con la minaccia che quanto avvenisse in quei pochi chilometri accadesse ora gli occhi della del tribunale internazionale. Mentre nel 2022 Baku rosicchiava il suolo armeno chilometro per chilometro dalla Russia arrivavano solo grandi silenzi. Dall’inizio del conflitto in Ucraina infatti il grande alleato di sempre e sedicente garante della sicurezza regionale, sempre più spesso ha iniziato a lasciare senza risposta le chiamate di Erevan. Distacco culminato con il pugno sul tavolo di Pashinyan alla riunione della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, la mini Nato a guida russa.
In queste crepe dei rapporti con Mosca nasce quindi l’apertura a occidente di Pashinyan sui temi di sicurezza regionale prima con l’accordo per una missione di osservatori europei al confine con l’Azerbajan, definito da Mosca come “un’interferenza europea nella regione” e poi con l’avvio del processo di ratifica dello statuto di Roma. Un processo di avvicinamento a ovest su cui però si è infranto il mandato di arresto della corte internazionale che mette Erevan davanti a uno scenario impensabile, quello di mandare i suoi agenti ad arrestare Putin qualora si presentasse nel paese. E quando la corte costituzionale armena la settimana scorsa ha dato il via libera finale al governo per la firma di ratifica, da Mosca hanno minacciato “conseguenze estremamente negative se ci sarà la firma”, hanno fatto sapere lunedì dal ministero degli esteri via Tass. A rispondere ci ha pensato Hakob Arshakyan, vicepresidente del Parlamento “il governo armeno non ha alcun desiderio o intenzione di arrestare Putin”, ha rassicurato spiegando che il governo lavora ad un patto di accordo bilaterale che annulli la sovranità delle decisione dell’Icc solo per i cittadini, o sarebbe meglio dire per un cittadino, di un paese specifico. Una legge armena ad personam per salvare i rapporti con la Russia ma lasciare un porta aperta a occidente, un equilibrismo complesso ma non il primo usato da Pashynian per navigare dentro la tempesta di una sicurezza regionale che non esiste più.