Salta ancora la missione di Fratelli d'Italia a Taiwan. Meloni e il dilemma cinese
Una delegazione di parlamentari sarebbe dovuta partire oggi per Taipei ma all'ultimo è stato rimandato il viaggio, a causa delle “tensioni internazionali”. Ma solo la missione italiana sembra così piena di ostacoli. Maria Tripodi oggi in Cina
Erano tutti pronti, con la valigia in mano. Una delegazione di parlamentari italiani sarebbe dovuta partire oggi per Taipei, oltre ventiquattr’ore dopo la fine delle esercitazioni militari della Repubblica popolare cinese attorno all’isola di Taiwan, esercitazioni che non hanno allarmato nemmeno i taiwanesi per via della moderazione delle operazioni messe in campo dai cinesi. Eppure, all’ultimo momento, ieri, è stato deciso di rimandare il viaggio, dopo consultazioni con la Farnesina, a causa delle “tensioni internazionali” e della “situazione d’attrito” tra Cina e Taiwan.
Erano settimane che circolava la notizia di questa missione, composta quasi interamente da parlamentari di Fratelli d’Italia. E’ dal 2019 che una rappresentanza parlamentare italiana manca dal paese che la Cina rivendica come proprio territorio, anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governato. Tra il 2021 e oggi, cioè dalla fine del Covid e la riapertura delle rotte internazionali, sono state ben sedici le missioni di paesi europei e del Regno Unito a Taiwan: si tratta di missioni diplomatiche che servono a mantenere un dialogo costante con il paese de facto indipendente e partner fondamentale dei paesi democratici in Asia. Un modo per non sottostare al ricatto di Pechino che vorrebbe che Taiwan non avesse suoi canali diplomatici indipendenti. C’è stata la Francia, la Germania, la Finlandia, la Svizzera, a fine marzo perfino la ministra dell’Educazione tedesca Bettina Stark-Watzinger. A questo punto, solo la missione parlamentare italiana sembra così tanto piena di ostacoli.
La consuetudine dei viaggi di dialogo parlamentari con Taiwan si è raffreddata dopo il governo gialloverde e la firma dell’ingresso dell’Italia – unico paese del G7 a farlo – nella Via della seta cinese. Sembrava che con l’arrivo al governo di Giorgia Meloni l’approccio italiano a Taiwan dovesse cambiare: era stata lei, poco prima del voto, a incontrare il rappresentante diplomatico di Taiwan in Italia e a rilasciare per la prima volta un’intervista alla Central News Agency taiwanese nella quale aveva annunciato un rafforzamento dei rapporti con Taipei, tanto che a settembre la stampa taiwanese celebrava l’arrivo di Meloni a Palazzo Chigi come di una politica “Taiwan friendly”.
Poi qualcosa è cambiato. Da ieri la sottosegretaria agli Esteri, la forzista Maria Tripodi, è in missione sull’isola cinese di Hainan – un migliaio di chilometri a sud-ovest di Taiwan – per partecipare alla terza edizione della China International Consumer Products Expo (Cicpe), dove l’Italia è ospite d’onore. Le esercitazioni militari cinesi hanno fermato la delegazione parlamentare verso Taipei, ma non la missione del governo ad Hainan.
A Palazzo Chigi c’è la volontà politica di uscire dalla Via della Seta – per farlo, l’esecutivo deve mandare una comunicazione a Pechino entro la fine di quest’anno – ma le parole di Macron di ieri su una “autonomia strategica” potrebbero far cambiare idea a qualcuno. Fino a oggi, in virtù dell’ingresso nella Via della seta, l’Italia non ha avuto alcun beneficio economico nei rapporti commerciali con Pechino ma ha avuto di certo un trattamento di favore politico, che potrebbe cambiare se si trasformasse, di colpo, nel paese più anticinese d’Europa. Secondo alcune fonti diplomatiche consultate dal Foglio, la Via della seta mette in difficoltà Meloni, che vorrebbe decidere tempi e modalità entro il G7 di Hiroshima di maggio, ma l’errore è stato fatto all’inizio: “Prima del suo incontro a Bali con Xi Jinping, Meloni ha annunciato l’uscita dell’Italia dalla Via della seta”, dice al Foglio un analista di un paese del G7 che preferisce restare anonimo perché non autorizzato a commentare l’argomento, “adesso invece tentenna, è spaventata dall’eventuale rappresaglia economica cinese. Ma avrebbe potuto andare a Bruxelles e mostrare il guaio in cui l’aveva messa il governo di Giuseppe Conte nel 2019, lavorare a una via d’uscita collettiva e comunitaria. L’ambiguità non paga mai”. Intanto, anche il segnale di una delegazione di Fratelli d’Italia a Taiwan è rimandato a data da destinarsi. Il dossier cinese resta tutto nelle mani di Giorgia Meloni.