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Il viaggio di Baerbock in Cina, dopo Macron. Parla il sinologo tedesco Tim Rühlig

Daniel Mosseri

Dopo le parole del presidente francese sulla questione Taiwan, il partito del cancelliere Olaf Scholz ha detto di aspettarsi che Baerbock “metta le cose in chiaro” durante i suoi colloqui cinesi

Berlino. Quando ha organizzato la propria missione in Cina la ministra degli Esteri tedesca, la verde Annalena Baerbock, non poteva immaginare che avrebbe ricevuto tanta attenzione. Ma le sue tappe a Tianjin ieri e Pechino oggi sono state precedute dall’intervento di Emmanuel Macron. In Cina il presidente francese ha accennato alla questione di Taiwan, spiegando che l’Europa non deve necessariamente schiacciarsi sulla posizione degli Stati Uniti. Parlando con Politico, il portavoce per la politica estera della Spd, il partito del cancelliere Olaf Scholz, ha detto di aspettarsi che Baerbock “metta le cose in chiaro” durante i suoi colloqui cinesi. Così la sinistra. Ma anche per la conservatrice Welt “questa sarà una delle missioni più difficili dall’inizio del suo mandato” tanto più che Baerbock arriva alla fine di una grande esercitazione della Marina cinese nelle acque dello tretto di Formosa.

   

Dalla ministra tedesca ci si aspetta oggi una non comune di compendiare gli interessi della Germania, della Francia e dei 27, senza dimenticare l’alleato americano. Una posizione non facile che Tim Rühlig, ricercatore senior e sinologo della Società tedesca per la politica estera (Dgap), ha cercato di illustrare al Foglio. L’attesa è che l’esponente dei Verdi, che non ha certo fama di essere una sostenitrice né di Pechino né delle autocrazie in genere, cercherà di metterci una pezza, “anche se questo non è lo scopo ufficiale della sua missione”. La ministra dovrà ricucire la tela della presidente dell’Ue, Ursula von der Leyen, che era a Pechino insieme a Macron. “La Cina sta ricevendo messaggi contrastanti dall’Europa, che tradiscono la debolezza dell’interlocutore”, osserva Rühlig. Perché se è vero che l’inquilino dell’Eliseo è sembrato poco interessato alla difesa di Taiwan, c’è chi in Europa teme che lo stesso ragionamento possa essere esteso all’Ucraina aggredita dalla Russia. Von der Leyen, al contrario ha detto a chiare lettere che l’Ue è molto preoccupata di una possibile escalation nello Stretto. Una posizione in linea con quella della Casa Bianca.

   

Secondo Rühlig lo strabismo europeo non è poi limitato alla politica: “Uvdl ha segnalato la necessità per l’Europa di staccarsi dalla Cina mentre Macron si è presentato con un’ampia delegazione di imprenditori interessati a relazioni economiche più intense”. Vero è anche che l’una cosa non esclude l’altra: da un lato Parigi potrebbe rilanciare il business con Pechino mentre Berlino dall’altro imbocca la via d’uscita. A chi dice che Macron punti a essere la nuova Anegla Merkel, la leader europea che più spinse per rapporti economici con il “paese di mezzo”, il sinologo risponde: “Impossibile: la Germania rappresenta da sola il 50 per cento del commercio europeo della Cina”. Da una Baerbock vicina alla sensibilità di Uvdl, non c’è da attendersi troppo sostegno al business tedesco in Cina. Rühlig peraltro non crede troppo al ruolo della politica. Le aziende, spiega, valutano da sole il rischio legato agli investimenti all’estero, e quelle tedesche hanno già iniziato una manovra di disimpegno. “C’è chi non investe perché ha capito che il miracolo cinese sta finendo. E c’è chi soprattutto nel settore automotive, elettronica e chimica sta creando catene di approvvigionamento distinte e separate”. Come la Basf che solo l’anno scorso ha investo 10 miliardi nei suoi stabilimenti in Cina che producono prodotti per il mercato cinese. Non va poi dimenticato lo sguardo cinese su di noi: facendo leva sulle debolezze citate prima, Pechino spera di allentare il legame transatlantico poiché un’Europa disallineata dagli Stati Uniti la aiuterebbe a contrastare la potenza militare, economica e tecnologica a stelle e strisce. Per lo stesso motivo Pechino non ha interesse  che la guerra in Ucraina finisca. Da un lato alla Cina fa comodo una Russia isolata e non è detto che Putin, di cui Xi Jinping si fida, possa sopravvivere a una pace accettabile anche per Kyiv. Ma soprattutto “finché la guerra continua, sempre più risorse militari occidentali saranno concentrate su quel fronte.” Lontano cioè dallo stretto di Formosa.

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