A pechino
Lula è da Xi con un chiaro scopo commerciale. Il suo “piano di pace” è un'offesa
“Putin deve riconoscere che è stato sconfitto, Zelensky che gli ucraini non hanno diritto alla loro terra”: è la proposta che il presidente brasiliano presenta durante la sua visita in Cina. Accompagnato da 200 imprenditori, cercherà anche investimenti e nuovi mercati di esportazione
“Putin deve riconoscere che è stato sconfitto, Zelensky deve riconoscere che gli ucraini non hanno diritto alla loro terra”. Questa è in pratica la traduzione del piano di pace del presidente brasiliano Lula, e si capisce perché né Mosca né Kyiv abbiano manifestato interesse per una proposta di mediazione che in effetti è al di sopra delle parti, nel senso che offende tutte e due. Dal punto di vista formale c’è però qualche sfumatura. Il presidente russo “non può tenersi territorio dell’Ucraina, forse si può discutere la Crimea, ma su ciò che ha invaso di nuovo bisogna ripensarci”, ma pure il presidente ucraino “non può volere tutto” è stato il contenuto esatto delle esternazioni che il presidente brasiliano ha fatto il 6 aprile in un incontro con giornalisti.
Tecnicamente le zone in disputa si possono dividere in quattro aree: la prima, che la Russia si è annessa il 30 settembre ma che l’Ucraina ha già liberato; la seconda, che la Russia si è annessa il 30 settembre dopo averla occupata con l’attacco del 24 febbraio; la terza, che la Russia si è pure annessa il 30 settembre ma che controllava anche prima dell’attacco, attraverso le due Repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk; la quarta è la Crimea, che la Russia ha annesso il 18 marzo 2014. La richiesta dell’Ucraina di riavere indietro tutte e quattro è considerata irrealistica da molti osservatori, ma se possibile la pretesa russa che gli ucraini si ritirino pure dalla prima area per discutere la pace è più irrealistica ancora, e la stessa maggioranza di osservatori ritiene che un ritiro russo sulle posizioni del 24 febbraio sarebbe per Putin una sconfitta grave: vorrebbe dire aver affrontato uno spaventoso salasso umano ed economico per niente.
Quando Lula parla di “ciò che Putin ha invaso di nuovo” sembra riferirsi a questo scenario, maquando si riferisce alla solo Crimea sembra chiedere a Putin di ritirarsi anche dalle “Repubbliche popolari”. Indeterminatezza voluta, per dare spazi di trattativa? Confusione, per parlare di cose di cui il presidente brasiliano sa poco e male? E comunque Lula condisce ogni suo intervento sul tema con parole sprezzanti nei confronti di Zelenky. “Non c’è ragione legale, politica né morale che giustifichi l’abbandonare un solo centimetro di territorio ucraino”, ha commentato su Facebook il portavoce della diplomazia ucraina Oleg Nikolenko.
Ora che Lula è a Pechino, gran parte della stampa italiana ha sintetizzato la vicenda così: “Lula da Xi con il suo piano di pace in valigia”.
Tra le testate anglosassoni o iberoamericane si preferisce un’altra analisi: “La politica estera del Brasile è iperattiva, ambiziosa e ingenua” (questo è l’Economist). “Il commercio e i Carbon Credit, non l’Ucraina, sono al centro dell’agenda nei colloqui Lula-Xi”, scrive la Cnn. “Xi e Lula si riuniscono venerdì a Pechino con un nuovo ordine globale all’orizzonte”, è la tesi del País. Mentre il Clarín di Buenos Aires spiega: “Il presidente Luis Inácio Lula da Silva va in Cina con tre priorità: 1) apparire come uno statista al fianco dell’imperatore Xi Jinping; 2) restare in buoni rapporti con entrambi gli schieramenti nella nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina; 3) cercare investimenti e trovare mercati di esportazione”. Lo paragona a Getúlio Vargas, il “Perón brasiliano” che aveva costruito un regime chiaramente ispirato al fascismo italiano ma mandando in galera i fascisti doc, aveva nel governo sia ministri filoamericani sia filo-Asse, ma poi contrattò con Roosevelt l’ingresso nella Seconda guerra mondiale, e mandò un corpo di spedizione a combattere sulla Linea Gotica, dopo che Washington sborsò i dollari per realizzargli una grande acciaieria e riarmargli l’esercito.
In particolare, l’export agricolo brasiliano in Cina è passato da 1.870 milioni di dollari nel 2000 a 89.500 nel 2022, e metà dei 200 imprenditori che accompagnano Lula nella trasferta appartiene all’agroindustria. Quella stessa agroindustria accusata di aver finanziato il tentato golpe bolsonarista dell’8 gennaio – ma anche Bolsonaro sull’appoggio all’Ucraina era tiepido, proprio in nome dell’import di fertilizzanti russi e dei Brics.