Foto Ap, via LaPresse

le informazioni dell'intelligence americana

Putin punta sulle nostre divisioni, ma le fratture sono a Mosca

Micol Flammini

Tra i documenti trafugati c’è anche il racconto dei dissidi attorno al presidente russo. Cause e fallimenti 

Le pagine di documenti riservati che stanno rivelando informazioni importanti riguardo alla guerra in Ucraina e le relazioni diplomatiche tra i paesi coinvolti contengono anche molte informazioni sulla Russia, sullo stato dell’esercito e soprattutto sui rapporti di forza che gravitano attorno al Cremlino. La fotografia che ne esce non è quella che Mosca è impegnata a scattare da più di un anno, e questo dato sembra suffragare l’idea che la fuga di documenti americani riservati non nasca da ragioni partigiane o ideologiche.

  

Le informazioni mostrano quanto in profondità gli Stati Uniti siano riusciti a penetrare nei servizi di sicurezza russi, con quanta precisione siano stati in grado di anticipare e prevedere. Una parte dei documenti racconta le lotte dentro al potere russo e soprattutto lo scontro tra i servizi di sicurezza dell’Fsb e il ministero della Difesa. Le divisioni, secondo alcuni analisti che  hanno contribuito a scrivere i documenti, sono anche alla base del fallimento dell’esercito russo in Ucraina. L’Fsb rimprovera al ministro della Difesa Sergei Shoigu di non riportare in modo corretto il numero di perdite  durante il conflitto. L’ultima volta che da Mosca erano arrivate delle cifre era settembre e Shoigu aveva affermato che dall’inizio della guerra erano stati uccisi 5.937 soldati russi. Il numero non soltanto è diverso da quello dato dagli Stati Uniti, che in un altro documento trapelato hanno riportato tra le 189.500 e le 223.000 vittime tra i soldati di Mosca e tra le 124.500 e le 131.000 fra i soldati di Kyiv, ma differisce anche dai dati dell’Fsb. L’agenzia di intelligence ha accusato il ministero di non tenere conto dei morti tra la Guardia nazionale, i mercenari della Wagner e gli uomini del leader ceceno Ramzan Kadyrov. Altre critiche da parte dell’Fsb riguardano invece il coordinamento tra le varie forze che combattono in Ucraina, che agiscono in modo incrociato, spesso pestandosi i piedi. E’ stato il New York Times a ottenere i documenti che parlano di questi dissidi interni, che ritraggono un potere frammentato e corroso, e molte di queste informazioni verrebbero da intercettazioni.

 

Per ora il presidente russo sembra continuare a dare retta al ministro Shoigu, dimostrando di fidarsi di più del ministero della Difesa che dei suoi ex compagni dell’Fsb. In alcune dispute sembra sia intervenuto personalmente, come quando convocò Evgeni Prigozhin, finanziatore dei mercenari della Wagner, e Shoigu per risolvere la disputa sulle munizioni. Prigozhin aveva accusato il ministero della Difesa di trattenere munizioni essenziali che dovrebbero essere destinate ai suoi uomini impegnati a Bakhmut e lo aveva denunciato pubblicamente. Putin avrebbe organizzato un incontro il 22 febbraio scorso  in sua presenza, ma i documenti non sono in grado di raccontare cosa sia stato stabilito.

 

Negli oltre vent’anni al Cremlino, il presidente russo ha rivoluzionato la struttura del potere, si è messo al centro e se questo è servito a garantirgli la solidità ha messo in moto anche una struttura clientelare, poco trasparente e una rivalità pericolosa tra chi aspira a  essere preso in considerazione. La guerra, i suoi fallimenti, la corruzione dell’esercito, la mancanza di trasparenza sono il risultato di questa struttura tirata su negli anni e i documenti visionati dal quotidiano americano lo confermano. La grande fuga di notizie potrebbe mettere a rischio la capacità degli Stati Uniti di conoscere i piani russi,  ma svela anche molte debolezze russe di cui Mosca non parla mai volentieri. 

 

I dissidi dentro al Cremlino, la lotta tra agenzie di intelligence e ministero della Difesa, tra Prigozhin e Shoigu non sono un messaggio che Mosca vuole rendere pubblico  per varie ragioni. Una di queste è che  il Cremlino da qualche mese, dopo non aver ottenuto i risultati lampo su cui aveva scommesso in Ucraina, sta puntando su una guerra sfiancante che prima che sfiancare Kyiv stanchi i suoi alleati.  Punta alle divisioni, alle tensioni, a spezzare l’asse finora coeso della resistenza occidentale – per questo a Mosca  hanno preso in modo molto positivo le affermazioni del presidente francese Emmanuel Macron sull’autonomia strategica dell’Ue rispetto agli Stati Uniti. Dai documenti però esce un altro racconto: le fratture sono a Mosca, non a Kyiv, non a Bruxelles e non a Washington. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)