L'Egitto flirta con i nemici dell'Europa, ma senza l'Fmi è nei guai

Luca Gambardella

La fiducia dei mercati sulle capacità dell’Egitto di ripagare il suo debito è ai minimi. Il timore del Golfo e dell’Europa è la tenuta sociale del paese. Ma intanto al Sisi continua a collezionare sgarbi nei confronti degli alleati americani, a partire dalle trattative con Mosca

“Too big to fail”, è la scommessa del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Nessuno permetterà davvero che il paese più popoloso del medio oriente cada di nuovo in uno stato di instabilità economica e politica a 12 anni dalle Primavere arabe. Ma intanto, i dati sullo stato di salute dell’economia egiziana, diffusi martedì dal Fondo monetario internazionale (Fmi), allarmano tutti, Italia compresa, che rischia di avere dall’altra parte del Mediterraneo un altro paese al collasso dopo Tunisia e Libia. La crescita del pil egiziano per quest’anno è prevista al 3,7 per cento, contro il 4 atteso dal governo, con un’inflazione al 21,6 per cento, la svalutazione della sterlina e un debito estero di quasi 260 miliardi di dollari, sei volte quello del 2014 e pari a circa il 90 per cento del pil annuale. La fiducia dei mercati sulle capacità dell’Egitto di ripagare il suo debito è ai minimi e l’agenzia di rating Fitch ha rivisto da “stabile” a “negativo” l’output del paese. Una fetta importante del budget del Cairo è finanziata dai prestiti elargiti dalle monarchie del Golfo, che hanno già promesso a Sisi oltre 22 miliardi di dollari per uscire dalle crisi generate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. “La cosa più importante è l’aiuto dei nostri fratelli”, ha ringraziato il presidente egiziano intervenendo al World Government Summit di Dubai lo scorso 13 febbraio.

  
Ma il timore del Golfo e dell’Europa è la tenuta sociale del paese
. Lo scorso 2 aprile, il principe saudita Mohammed bin Salman ha incontrato Sisi a Riad e gli ha dettato le sue durissime condizioni per concedergli altro denaro: la nomina di nuovi funzionari del governo nei settori economici – presumibilmente graditi ai sauditi – e la svalutazione della sterlina egiziana per favorire gli investimenti esteri. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non sono più disposti a prestare denaro a fondo perduto, ma intendono investire in asset strategici. Settori che però al momento sono occupati dall’esercito egiziano. Un problema, quello dell’onnipresenza delle forze armate nell’economia, condiviso dal Fmi e che ora impone a Sisi una scelta difficile.

   
L’ultimo prestito da 3 miliardi di dollari accordato dal Fondo lo scorso ottobre, il terzo dal 2016, non è sufficiente all’Egitto, che in fase di negoziato ne chiedeva addirittura 12. Allora come oggi l’ostacolo a un esborso maggiore da parte del Fmi è stato il ruolo pervasivo dell’esercito, che controlla di tutto, dalle pompe di benzina ai piccoli negozi di fast food, dalle drogherie alle industrie. Sisi però non ha alcuna intenzione di avviare il processo di privatizzazione. Da ex generale dell’esercito, il presidente ha un bisogno vitale del sostegno delle Forze armate. La situazione è ai limiti e, secondo Timothy E. Kaldas, vicedirettore del Tahrir Institute for Middle East Policy, “il programma del Fmi è cruciale per permettere all’Egitto di riguadagnare acceso al credito sui mercati internazionali e ottenere altri prestiti bilaterali”.

  
Ciò non impedisce nel frattempo a Sisi di flirtare con i nemici dell’occidente, a cominciare dalla Russia di Vladimir Putin. Sebbene sappia di non potere ottenere da Mosca aiuti economici comparabili a quelli che offre il Fmi, il presidente egiziano continua comunque a collezionare sgarbi nei confronti degli alleati americani. L’ultimo in ordine di tempo è quello rivelato martedì scorso dai leak del Pentagono, che parlavano di 40 mila razzi egiziani da produrre e consegnare a Putin per sostenerlo contro l’Ucraina. Un piano da mantenere segreto, come avrebbe dichiarato lo stesso Sisi nelle intercettazioni, “per evitare problemi con l’occidente”. La smentita successiva del Cairo non ha ridimensionato l’impatto della fuga di notizie, che ha confermato quanto sia fragile il rapporto di fiducia tra Washington e quelli che dovrebbero essere i suoi alleati in medio oriente. Sui media di stato egiziani, in sinergia con Russia Today che è molto seguita in Egitto, da mesi passa il messaggio che le sanzioni occidentali contro le esportazioni di beni e fertilizzanti russi penalizzano soprattutto i paesi più poveri. Un messaggio che ha una presa notevole, fra gli egiziani.

  
Sisi nel frattempo porta avanti le trattative con Mosca per il passaggio al sistema di pagamenti sul circuito russo del Mir. In questo modo vuole incentivare gli arrivi dei turisti russi permettendogli di pagare in rubli, da riutilizzare per comprare il grano importato da Mosca. Il piano innervosisce gli Stati Uniti, perché violerebbe le sanzioni internazionali imposte al Cremlino, che già investe nel paese per costruire una centrale nucleare a Dabaa, sul Canale di Suez, ed è il primo esportatore di armi in Egitto. Il secondo è l’Italia, con un giro di affari di circa 12 miliardi di dollari. Oltre al settore della difesa e a quello degli idrocarburi, il nostro paese è legato al destino egiziano per il dossier libico e quello dei migranti. Solo lo scorso anno, gli egiziani sbarcati in Italia sono stati oltre 22.500, molti dei quali passando per la Cirenaica, in Libia, con il placet di Khalifa Haftar, sostenuto da Russia ed Egitto. I numeri delle partenze continuano a crescere anche nel 2023, di pari passo con il peggioramento della situazione economica nel paese. Per questo, nei prossimi mesi, per la Farnesina potrebbe arrivare il momento di aprire un dossier gemello a quello tunisino e che riguarda proprio l’Egitto.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.