L'estratto
La difesa dell'Ucraina e il futuro dell'ordine internazionale
La fine dell'egemonia americana dopo la Guerra fredda segna l'avvento di un sistema multipolare. Ciò che è in gioco è se sarà violento o meno: per questo bisogna fermare Putin
L’articolo è un estratto da “L’invasione dell’Ucraina un anno dopo” (Arel).
Una guerra di questo genere, così plateale e corrosiva delle regole internazionali, non poteva che avvenire in un quadro multipolare dove il potere è diffuso e decentrato nel sistema internazionale. Possiamo dire che l’attacco russo rappresenta il sigillo sulla fine del periodo transitorio dell’unipolarismo americano seguito alla Guerra fredda, quando gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza superstite e offrivano una leadership, prima multilaterale con le presidenze di Bush padre e di Clinton e il tentativo di rafforzare le istituzioni internazionali, poi, dopo l’11 Settembre, in modo più unilaterale da parte di Bush figlio. Tutto ciò si è concluso con la grande recessione del 2008 e con i presidenti successivi, Obama, Trump e Biden, che hanno sperimentato gravi divisioni e crisi interne che hanno distratto gli Usa dal loro ruolo di leadership globale. Quando si discutono le cause dell’invasione russa in Ucraina, quindi, non bisognerebbe guardare tanto a queste frequenti auto-dichiarate paranoie sulla sicurezza russa, o alle balorde tesi che la colpa ricada sull’allargamento della Nato.
C’è stato in passato un momento in cui l’occidente era più volitivo ed espansivo, ma quel momento è finito da più di un decennio. Semmai è stata la debolezza occidentale, dovuta anche a questo diverso ruolo americano, a invitare le potenze regionali a riempire un vuoto. Nei precedenti casi di aggressione russa, molto più circoscritti e timidi e pertanto molto più compatibili con un ordine unipolare (Georgia nel 2008, Ucraina con la presa e l’annessione della Crimea nel 2014, intervento in Siria del 2015), si trattava comunque di palesi violazioni dell’ordine internazionale. A tali violazioni la reazione mondiale e degli Stati Uniti è stata debole e questo, come sappiamo dagli altri casi nella storia, ha fatto ingolosire l’ aggressore. Come dice Anne Applebaum, ci sono delle responsabilità occidentali in quello che è successo e sono state quelle di non essersi accorti in tempo della minaccia e di non aver supportato prima l’Ucraina, con una opera di efficace deterrenza nei confronti della Federazione russa. Quello che è in gioco adesso, quindi, non è tanto se il sistema sarà multipolare o no, dato che questa è una dinamica acquisita e di lungo periodo, ma se sarà un sistema multipolare ordinato e (relativamente) pacifico come quello del XIX secolo, oppure violento e disordinato come quello della prima metà del XX secolo. Questa è la vera posta in gioco di fronte e noi oggi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si è costruito un ordine internazionale ed europeo basato su alcuni principi, tra i quali fondamentali erano la sovrana uguaglianza fra gli stati e la non modificabilità dei confini con l’uso della forza. Questi principi, in particolare il secondo, erano difesi anche dall’Unione Sovietica che, al contrario della Federazione Russa, cercava di rispettare il più possibile la Carta dell’Onu. Al contrario, in maniera piuttosto spregiudicata, la Federazione russa ha ripetutamente violato sia il diritto internazionale che quello umanitario. Sono azioni illegali l’invasione della Crimea e del Donbas del 2014, l’annessione della Crimea nel 2014 e più recentemente, nell’autunno scorso, l’annessione delle quattro province meridionali dell’Ucraina dopo dei referundum farsa. È stata ovviamente illegale l’invasione del 24 febbraio. Tutte queste sono violazioni sia del diritto internazionale, quindi delle regole Onu, sia dell’ordine europeo, che aveva toccato il punto più alto nel 1975, grazie all’Accordo di Helsinki voluto e siglato anche dall’Urss. Nel caso specifico dell’Ucraina non è da dimenticare il memorandum di Budapest del 1994, con cui l’Ucraina abbandonò le armi nucleari che aveva ereditato dal frazionamento dell’Unione Sovietica in cambio della promessa che non sarebbe mai stata attaccata. Questa promessa, che era importante anche perché consentiva di evitare la proliferazione degli arsenali atomici, è stata infranta il 24 febbraio 2022. Si sono poi purtroppo perpetrate continue violazioni del diritto umanitario contro gli individui con deportazioni, torture ed esecuzioni di prigionieri e civili, donne e bambini compresi. A livello militare c’è stato un uso indiscriminato e non proporzionale dei bombardamenti, inclusi gli obiettivi civili (scuole, ospedali, centrali nucleari ed ultimamente contro le reti elettriche al fine di affamare e infreddolire la popolazione inerme). Tutte queste sono palesi violazioni del diritto umanitario.
Siamo di fronte a uno spartiacque per le relazioni internazionali, se Putin non viene fermato vuol dire che l’aggressione paga, non solo in Europa o in Russia, ma potrebbe essere un pessimo precedente in tutto il sistema internazionale (pensiamo a Taiwan). Gestire l’ordine internazionale che potrebbe derivare da ciò avrebbe dei costi molto superiori a quelli che stiamo sostenendo adesso in termini economici, diplomatici e militari. Per decenni tutto ciò ci costerebbe tantissimo in spese per proteggerci, sperando che nel frattempo non ci sia una guerra che ci coinvolga direttamente. Per questi motivi è fondamentale difendere quell’ordine internazionale europeo, basato sulle regole che ho descritto e che è stato sfidato dall’aggressione russa. Questo per ragioni di valore, in difesa dei buoni principi illuministici di convivenza pacifica che hanno consentito un progresso economico e democratico senza precedenti, ma anche perché è nel nostro interesse. Si tratta di uno di quei rari casi nei quali non c’è da fare una scelta tra valori e interessi, perché in questo caso convergono, rendendo il sostegno all’Ucraina una priorità assoluta. Se infatti l’Ucraina dovesse perdere, l’Europa e anche altre parti del mondo diventerebbero instabili e pericolose.
Filippo Andreatta è professore di politica internazionale all’Università di Bologna