Clinton, Blair e Ahern a Belfast celebrano i 25 anni dagli Accordi del Venerdì Santo
I tre leader si sono fatti intervistare da Hillary Clinton (che della Belfast Queen's University è rettrice) raccontando cosa li ha portati, nella seconda metà degli anni ‘90, a credere possibile la pace in Irlanda del nord
Belfast. 25 anni fa a Belfast con gli Accordi del Venerdì Santo si concluse un percorso lungo e tortuoso che portò i leader di fazioni religiose e politiche distinte che si erano fatte la guerra per trent’anni a sedersi attorno allo stesso tavolo e a siglare, insieme, l’ultima vera ed efficace pace che il mondo abbia conosciuto (insieme a quella, di un paio di anni precedente, degli accordi di Dayton, del 1995). Ieri, per celebrare i 25 anni di quella pace (che la Brexit ha crepato e fatto vacillare ma non è riuscita a rompere) sono arrivati alla Belfast Queen's University Bill Clinton e l’ex senatore americano George Mitchell (che di quegli accordi furono cocciuti mediatori) insieme a Tony Blair e Bertie Ahern (che quella pace firmarono per davvero).
Mancavano (e sono stati molto rimpianti e ricordati) John Hume e David Trimble, i leader rispettivamente del Partito socialdemocratico e laburista e dell'Ulster Unionist Party: due persone con uno sforzo personale e politico enorme (che valse loro il Nobel), che seppero rendere possibile l’accordo: "Senza John Hume – ha detto il senatore Mitchell – non ci sarebbe stato un processo di pace. Senza David Trimble non ci sarebbe stato un accordo di pace". I tre leader si sono fatti intervistare da Hillary Clinton (che della Belfast Queen's University è rettrice) raccontando cosa li ha portati, nella seconda metà degli anni ‘90, a credere possibile la pace.
“Tutti dicevano di lasciar perdere, che la pace in Irlanda del nord non era raggiungibile. Ma, a un certo punto – ha detto così Bill Clinton – arriva il momento giusto per fare la cosa giusta”. Ma il momento giusto, in genere, non arriva da solo. “Quando si vincono le elezioni e si arriva al governo – ha continuato Clinton – ci si ritrova a dover lavorare per tre cose contemporaneamente: quelle che si credono giuste; quelle che le persone che ti stanno a cuore credono giuste; quelle che ti possono permettere di sopravvivere. Intraprendere il cammino per la pace in Irlanda del nord era una cosa che io credevo giusta, una cosa che i miei elettori credevano giusta ma che tutti mi dicevano di lasciar perdere. Dicevano che l’unico risultato che avrei ottenuto sarebbe stato di rovinare i nostri rapporti con il governo inglese. Persino John Kennedy – mi dicevano – quando era venuto in visita in Irlanda era tenuto lontano dal nord, anzi non lo aveva neppure menzionato. Ma io ero convinto che fosse inconcepibile comportarsi come se un problema del genere non esistesse. La sua soluzione era un impegno che avevo preso, una cosa che andava almeno provata. Farlo è stato un atto di fede, al quale abbiamo messo le ali”.
“Ero ancora capo dell’opposizione – ha raccontato poi Blair – quando John Hume mi prese da parte e mi disse: “Ti diranno che è impossibile, ma se ti dicono che è impossibile, allora è possibile”. In realtà la forza della volontà, in genere, con guerre e paci non basta. “Il processo di pace – ha concluso Ahern – ha avuto momenti difficili e altri fortunati, i problemi erano enormi, dai prigionieri di guerra alla reciproca diffidenza. Tutti sapevamo di dover prendere decisioni difficili e tutti lo abbiamo fatto”. La cosa più difficile è stata, appunto, sedere allo stesso tavolo con i propri nemici.
“Poco dopo aver concluso il mio primo incontro con Gerry Adams e con il Sinn Féin, ricordo che avevo un incontro pubblico in un centro commerciale. Le persone, lì, mi accolsero indossando dei grossi guanti di gomma, di quelli per lavare i piatti: era il loro modo per dire che li avevo traditi quando avevo stretto la mano a Gerry Adams. Ma la mia risposta per loro, per Adams e per tutti quelli con cui ho trattato poi è stata sempre la stessa: sappiamo di non essere d'accordo sul passato, vediamo se possiamo essere d'accordo sul futuro. Parlare con tutti è stata senza dubbio la parte più difficile. Ma altrettanto senza dubbio è stata quella che ha reso la pace possibile”.