Contro la fatigue

I gran privati che combattono per Kyiv

Paola Peduzzi

La visita posticcia di Putin, quella calda di Zelensky, le bombe che ormai non contiamo più e l’antidoto al ritorno della fatigue: ecco la straordinaria assistenza “informale” che fa forte l’Ucraina

Vladimir Putin è stato in alcuni territori occupati nel sud dell’Ucraina: le immagini della sua visita di lunedì sono circolate ieri e, proprio come quando il presidente russo andò a Mariupol qualche settimana fa, c’è sempre un che di falso e di posticcio nelle sue comparsate – forse perché falsa è la sua pretesa di considerare questi territori parte della Russia e forse perché è tutto finto quel che lo circonda, ordine e pulizia artificiali. Di verissima invece c’è la visita del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ad Avdiivka, sul fronte del Donbas: le strette di mano, le medaglie, i selfie con i sorrisi commoventi, le conversazioni con le persone venute ad accoglierlo. Di verissime ci sono le bombe cadute a Kherson ieri mattina, che si aggiungono a quelle che cadono ogni giorno: un morto, nove feriti. Di verissima c’è la battaglia di Bakhmut, il  fronte disgraziato di uno scontro violento e infinito che, una volta conquistato, Putin potrà ostentare come un altro finto (e vuoto) trofeo.

 

A quattrocentoventi giorni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, abbiamo imparato a distinguere il falso dal vero, il freddo dal caldo, l’aggressore dall’aggredito, ma queste fasi di passaggio e di attesa – attesa delle munizioni, dei carri armati, attesa della controffensiva ucraina, attesa dell’ennesima mobilitazione russa – sono quelle in cui si reimpone la cosiddetta “stanchezza della guerra”. La si nota subito: solitamente quando c’è la fatigue, si ricomincia a parlare a vanvera di piani di pace e si denuncia “l’invasato” Zelensky, oggi con l’aggiunta anche del grande complotto delle “spie americane”. Per fortuna che ci sono organizzazioni che non solo non sentono la fatica, ma non devono nemmeno adottare tempi e cautele dei governi e delle istituzioni nazionali.

 

Il sito War on the Rocks ha appena pubblicato un articolo-ricognizione dell’assistenza e  solidarietà cosiddette “informali” all’Ucraina (“Più di un hobby” è il titolo), una boccata d’aria fresca dopo le ultime settimane passate a calcolare il tempo necessario a un Leopard per arrivare dal Canada al campo di battaglia o il danno causato da centinaia di documenti rubati all’intelligence americana. Nel dibattito su quanto e come è equipaggiata l’Ucraina “manca un elemento fondamentale – scrivono gli autori di War on the Rocks – per determinare la performance sul campo: l’assistenza informale alla sicurezza”. Parecchi soldati ucraini hanno detto che è più comune per un’unità ucraina che il 100 per cento dei droni a disposizione provenga da organizzazioni non governative – come Serhiy Prytula Foundation, Come Back Alive e Monsters Corporation – non dal ministero della Difesa, “e questi droni sono già ‘modificati’ quindi sono pronti per il combattimento appena arrivano”. L’assistenza informale è in realtà molto strutturata, prima di tutto perché per la Russia queste organizzazioni non governative sono “strumenti di propaganda” dell’occidente e sono ulteriori obiettivi da colpire.

 

Questo aiuto privato arriva principalmente in tre modi: dalla società civile dell’Ucraina, cioè quella solidarietà attiva e straordinaria che costituisce la resistenza del popolo ucraino; da reti di professionisti e aziende che operano in un settore specifico e costruiscono una specie di catena di valore tutta dedicata alla difesa dell’Ucraina; l’assistenza da volontari stranieri, che molto spesso non vanno a combattere ma fanno formazione. Un esempio, ma War on the Rocks ne fa moltissimi:  David Plaster, che è un ex soccorritore militare americano e ha fondato Anomaly, racconta che la sua organizzazione ha partecipato alla formazione di 100 mila ucraini per istituzionalizzare gli standard del training della Nato. Plaster è tra quelli che si accorsero già nel 2014 che l’aggressività russa non si sarebbe placata e infatti Anomaly opera già da allora: ha fornito mille kit di pronto soccorso, un milione di scatole di lacci emostatici e ha fatto alcune consulenze con il governo ucraino per attrezzare tutti i kit di pronto soccorso con gli standard previsti dalla Nato. 

 

Questa effervescenza privata è un antidoto alla stanchezza delle opinioni pubbliche e, grazie a prassi rapide e iniziative che non si impantanano né nella burocrazia né nella più ampia avversione al rischio che per ovvie ragioni (la Russia è una potenza nucleare) caratterizza i ministeri, riesce a fare da compensazione laddove le attese sono lunghe. I numeri naturalmente non sono paragonabili: senza l’aiuto dei governi occidentali l’Ucraina non può vincere questa guerra. Ma anche in questo caso, come nelle istituzioni nazionali e sovranazionali, la collaborazione e l’obiettivo comune sono decisivi: le organizzazioni private hanno accesso a reti che nell’informalità diventano più efficienti. Quest’assistenza non è soltanto accessoria, “a volte siamo dove dovrebbe essere la Nato”. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi