l'accordo a bruxelles
Come funziona la riforma “equilibrata” del Patto di stabilità
Le modifiche alle regole economiche conservano la visione del duo Macron-Draghi. La reazione tedesca (resta da convincere Lindner) e gli aggiustamenti chiesti dai “falchi”
Bruxelles. La riforma del Patto di stabilità presentata oggi da Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni si iscrive nella visione che Emmanuel Macron e Mario Draghi avevano messo nero su bianco sul Financial Times il 23 dicembre del 2021. Non tutto ciò che i due avevano chiesto è stato ripreso dalla Commissione europea. Ma una delle idee più originali è al cuore della proposta di Dombrovskis e Gentiloni: dare più tempo per ridurre il debito ai paesi che fanno investimenti sulle priorità dell’Ue. Questo non significa che Francia e Italia non dovranno procedere ad aggiustamenti fiscali dolorosi anche con il nuovo Patto. Ma che lo spirito di Draghi sia sopravvissuto lo dimostra la reazione di Christian Lindner: “Le proposte della Commissione non soddisfano i requisiti della Germania”.
La riforma del Patto di stabilità e crescita nasce da una duplice esigenza. Le vecchie regole, introdotte durante la crisi del debito sovrano, erano troppo dure per essere davvero applicate e sono state introdotte una miriade di eccezioni e flessibilità che hanno reso la governance economica del tutto imprevedibile. Ora, dopo la sospensione decisa per la pandemia e la guerra della Russia contro l’Ucraina, quelle regole potrebbero tornare in vigore, mettendo l’Ue di fronte a un dilemma: rinunciare definitivamente alla loro applicazione oppure costringere i paesi ancor più indebitati a un’austerità autolesionista. Con la vecchia regola sul debito – la riduzione di un ventesimo l’anno della quota superiore al 60 per cento del pil – l’Italia avrebbe dovuto realizzare manovre da decine di miliardi ogni anno. Inventarsi nuove regole è stato un lavoro titanico. Dombrovskis e Gentiloni – spesso in disaccordo tra loro – hanno discusso per quasi tre anni con i ministri delle Finanze, senza trovare un consenso definitivo. Alla fine sono arrivati a un compromesso che una fonte dell’Eurogruppo definisce al Foglio “equilibrata” perché “bilancia interessi diversi”.
La proposta della Commissione prevede di abbandonare parametri incomprensibili al grande pubblico e contestati dagli economisti e dagli esperti dei ministeri (crescita potenziale, deficit strutturale, output gap) per sostituirli con un unico criterio: la regola della spesa netta. I piani di bilancio per far rientrare il debito non saranno più annuali, ma pluriennali: quattro anni con la possibilità di portarli a sette, se un governo farà riforme e investimenti in linea con gli obiettivi dell’Ue (clima, digitale e difesa). Non ci sono Golden rule formali, ma gli investimenti vengono preservati da tagli troppo bruschi del debito. I percorsi di rientro saranno differenziati sulla base di una “traiettoria tecnica” che tiene conto della sostenibilità del debito di ciascun paese. Gli obiettivi fiscali saranno proposti dai governi nazionali, negoziati con la Commissione e convalidati dall’Ecofin. Alcune di queste idee erano state avanzate dal duo Macron-Draghi (per essere più precisi, da un paper firmato dai loro consiglieri economici, che accompagnava l’op-ed sul Financial Times del dicembre 2021). Quel che manca è la parte relativa al debito comune dell’Ue. Ma il principio chiave enunciato da Macron e Draghi – “abbiamo bisogno di più spazio di manovra e di sufficienti spese chiave per il futuro e per garantire la nostra sovranità” – è mantenuto.
L’eredità del duo Macron-Draghi non ha impedito alla Commissione di fare concessioni ai falchi della politica fiscale. E’ il prezzo per arrivare a un consenso con paesi come la Germania, i Paesi Bassi o la Finlandia. Tutti gli stati membri con un deficit superiore al 3 per cento dovranno realizzare un aggiustamento fiscale di almeno lo 0,5 per cento del pil. Per i paesi ad alto debito, l’aggiustamento pluriennale sarà doloroso (potenzialmente di più). Secondo una simulazione della Commissione, l’Italia dovrebbe realizzare uno sforzo fiscale medio annuo dello 0,85 per cento del pil (circa 17 miliardi) sul percorso di quattro anni. Lo sforzo medio annuo si ridurrebbe allo 0,46 per cento del pil (circa 9 miliardi), se l’Italia scegliesse i sette anni in cambio di riforme e investimenti.
Le procedure per deficit eccessivo saranno automatiche per i paesi ad alto debito che deviano dagli obiettivi di bilancio. Le multe saranno ridotte, ma più facili da applicare. Rimane da convincere il tedesco Lindner, che ha trovato nello scontro con l’Ue nuova linfa elettorale per la sua Fdp. “Lavoriamo in modo costruttivo, ma nessuno dovrebbe credere erroneamente che la Germania acconsentirà automaticamente alle proposte. Accetteremo solo regole che consentano un percorso affidabile verso la riduzione del debito e la stabilità delle finanze pubbliche”, ha detto Lindner.