Guardare negli occhi Khamenei

Un omicidio politico e una strana contestazione a distanza ravvicinata in Iran

Cecilia Sala

Dentro i confini della Repubblica islamica la protesta è impossibile da ignorare, all'estero la diaspora doveva essere il “governo in esilio”: si è già sciolta

La Guida suprema Ali Khamenei è sul palco e sta parlando dell’importanza di mostrarsi uniti all’esterno e quindi di non tenere un referendum che “polarizzerebbe la società iraniana” quando, da un poltrona in terza fila centrale, si alza un ragazzo che lo guarda negli occhi e gli chiede: “Come facciamo a fidarci, dov’è la trasparenza delle autorità in un paese dove ogni giorno succede qualcosa di grave alle persone?”. E’ una scena inaudita, in Iran le contestazioni non sono insolite ma non capitano mai a pochi metri dal leader. Il dibattito imprevisto avviene in un centro congressi di Teheran e il pubblico è di studenti universitari bassiji, quelli a cui da trent’anni è stato affidato il compito di combattere la jang-e narm, la guerra culturale “contro le influenze straniere” per indottrinare gli altri giovani e difendere i valori della rivoluzione islamica. I controlli sui partecipanti a questo genere di eventi sono strettissimi e la contestazione ha tre possibili spiegazioni: il dissenso è arrivato così lontano da contagiare anche qualcuno nel nucleo dei più fedeli, si tratta di una recita oppure i controlli non funzionano più alla perfezione perché la macchina della repressione è sovraccarica. 

Khamenei accenna una risposta in cui spiega che “governare un paese è difficile”, dopo tre parole viene incalzato dal bassiji: “Però (le autorità) non ascoltano la voce della gente!”. A quel punto la Guida risponde che un botta e risposta simile è impensabile e così il ragazzo viene portato fuori dalla sala. Stando al protocollo, è il controspionaggio che si dedica esclusivamente alla sicurezza personale di Khamenei a selezionare gli studenti che possono avvicinarsi così tanto al leader, questo è l’argomento usato dagli analisti secondo cui l’azione di protesta sarebbe stata una messa in scena per farlo apparire  come un uomo tollerante e aperto alle critiche. Secondo altri esperti non è credibile che in un momento in cui le autorità di Teheran sono sotto attacco dall’interno e le immagini delle proteste hanno fatto il giro del mondo, Khamenei abbia deciso consapevolmente di pubblicare un video in cui si mette in mostra che persino i bassiji siano scontenti dello status quo. Secondo questa lettura, l’unica spiegazione plausibile è che qualcosa si sia inceppato nei meccanismi che di solito regolano le apparizioni pubbliche del vertice della Repubblica islamica. Il video è diventato virale in un momento in cui la protesta in Iran è difficile da ignorare: migliaia di operai delle raffinerie, dell’industria siderurgica e delle costruzioni scioperano da cinque giorni, dicono che non riprenderanno a lavorare finché il governo e le fondazioni “private” controllate dal clero e dai pasdaran non aumenteranno gli stipendi del 79 per cento. Sembra una richiesta molto ambiziosa ma è quella naturale visto che i salari non sono stati adeguati a un’inflazione senza precedenti, al 53 per cento nel 2023 dopo anni al 40. Nella città di Zahedan, nella provincia del Sistan Baluchistan abitata da una minoranza sunnita, le piazze sono piene per la ventinovesima settimana consecutiva. Nell’ultimo giorno di Ramadan i cori intonati per le strade erano: “Morte al dittatore” e “ucciderò chi ha ucciso i miei fratelli”. Ieri qualcuno ha ucciso Abbas Ali Soleimani, l’ex rappresentante di Khamenei nel Sistan Baluchistan, un amico della guida e uno degli ayatollah più famosi d’Iran che faceva parte dell’Assemblea degli esperti – una specie di Corte costituzionale più potente che è anche l’organismo che nomina la Guida suprema quando muore quella in carica. E’ successo in una banca di Babolsar, una cittadina sul Mar Caspio a nord-est di Teheran. Alcuni testimoni hanno detto al sito Hozha che Soleimani era lì dentro quando “l’aggressore ha afferrato la pistola di una guardia e ha fatto fuoco proprio contro di lui”. Nessun altro è stato ferito e non era un tentativo di rapina ma un’azione mirata, le autorità dicono che si è trattato di un incidente ma la versione  cozza con la ricostruzione dei fatti e nelle strade di Zahedan i manifestanti stanno festeggiando l’operazione riuscita. 

A Teheran le ragazze continuano a fotografarsi senza velo nelle stazioni della metropolitana come quella dove era stata fermata Mahsa Amini: dentro i confini la protesta è composta da istanze diverse ma non è finita, mentre all’estero la diaspora di attivisti come Masih Alinejad ed eredi dello scià come Reza Pahlavi, che poche settimane fa aveva creato un “governo in esilio”, ha già litigato. Ha sciolto il gruppo e ieri, da Teheran, scrivevano: “Pahlavi ha tolto il follow su Twitter ad Alinejad, dev’essere dura la vita di chi lotta contro il regime da un paese sicuro. I prossimi leader meglio sceglierceli tra chi, qui, rischia il carcere ogni giorno”. 

 

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