dinastie
Le Pen, ultimo atto. Storia scespiriana del clan
Riuscirà Jean-Marie, storico leader del Front National, a vedere la figlia Marine conquistare l’Eliseo?
Tre donne stanno per rovinare a Emmanuel Macron la festa del mughetto, lunedì prossimo, il Primo maggio che anche in Francia coincide con la festa del lavoro. I sindacati hanno minacciato una mobilitazione senza precedenti e alla loro guida ci sono Marylise Léon, segretaria della Cfdt, la confederazione catto-socialista, e Sophie Binet, della Cgt, nata comunista. Il presidente in un messaggio alla nazione ha ammesso di aver “sentito la rabbia dei francesi”, ma la colère è più rovente che mai. Marine Le Pen si frega le mani convinta che sarà lei, non le sindacaliste né una sinistra vecchia e velleitaria, a raccogliere il grido dei francesi in rivolta. Se si votasse oggi, diventerebbe Madame la Presidente coronando il sogno di suo padre. Jean-Marie, a 95 anni, ricoverato per un cedimento del suo vecchio cuor di leone, riuscirà a veder entrare all’Eliseo la più giovane delle sue tre figlie, tanto amata, poi ripudiata e infine perdonata, nemmeno fosse un re Lear? Il clan Le Pen, come lo chiama Macron, non ha mai risparmiato coup de théâtre.
Ho incontrato l’allora capo dell’estrema destra francese nel suo quartier generale sulla collina chic di Saint-Cloud alle spalle di Parigi, quando ero corrispondente per il Corriere della Sera. Seduto di profilo così da nascondere l’occhio sinistro perduto nessuno sa dove né come, fissandomi con sguardo indagatore che balzava come un fulmine dalle lenti, sembrava Federico da Montefeltro. Come prima cosa disse quel che pensava di Gianfranco Fini: “Un traditore”. Non come Giorgio Almirante, vero camerata e ispiratore, anzi maestro. C’era stato il congresso di Fiuggi nel gennaio 1995, la presa di distanza dal fascismo, lo scioglimento del Movimento sociale italiano, la svolta. “Il patrimonio di Alleanza Nazionale è intessuto di quella cultura nazionale che ci fa essere comunque figli persino di Gramsci”, era scritto nero su bianco. Nel nuovo Pantheon non c’era più posto per Benito Mussolini, fino al punto di “chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenze che l’antifascismo fu un movimento essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. Tutte tesi che Fini ha ripetuto in occasione di questo 25 aprile, tutte bestemmie per il vecchio combattente che aveva preso le armi contro i tedeschi con Charles de Gaulle (così dice la biografia ufficiale che molti mettono in dubbio), poi contro di lui nella Legione straniera per non mollare l’Indocina, l’Algeria, Suez, dove però arrivò quando la frittata era già fatta. In quel fatidico 1956 che mette fine per mano americana alle ultime mire coloniali di Francia e Inghilterra, Jean-Marie entra in politica, è il più giovane parlamentare eletto con il partito populista di Pierre Poujade, che poi abbandona per avvicinarsi a Ordine Nuovo e infine nel 1972 fondare il Front National, scegliendo come simbolo la fiamma, ispirata direttamente a quella italiana del Msi.
La parabola di Jean-Marie Le Pen è una catena di avventure, ma anche di millanterie. Prendiamo il mitico occhio. Il Parisien vent’anni fa aveva pubblicato un articolo in cui sosteneva che il capo del Front National non lo aveva perso durante una bagarre politica, come lui stesso ha detto, ma per una malattia. Il servizio del quotidiano era corredato con alcune foto del leader dell’estrema destra: in una porta una benda all’occhio destro; in un’altra, scattata a distanza di anni, la benda nera è passata a sinistra. Alla fine Jean-Marie offre la sua versione: nel 1958, durante una colluttazione, l’occhio destro è uscito dall’ orbita, ma è stato rimesso a posto. Anni dopo, in conseguenza di quell’avvenimento, Le Pen sarebbe stato colpito da una cataratta traumatica che può avere un’evoluzione atipica, e ha perso il sinistro. La benda nera, l’occhio cavato in una rissa, quello sguardo per forza di cose obliquo, hanno fatto parte del mito che Jean-Marie ha saputo alimentare. Per una decina d’anni, in un periodo quanto mai turbolento, con una Francia in rapida e tumultuosa modernizzazione dopo aver assorbito l’onda del Maggio ‘68, il Fronte nazionale vivacchia. Nel 1981 il leader socialista François Mitterrand vince le presidenziali, ma non è Le Pen a raccogliere la fiaccola dell’opposizione di destra. Il primo risultato di rilievo che lo porta nel grande gioco è alle europee del 1984 quando elegge due eurodeputati, pochi, ma due spine nel fianco dell’Europarlamento, raccogliendo le parole d’ordine della Nouvelle Droite: l’Europa nazione, terza forza tra Stati Uniti e Unione sovietica, ben oltre il sovranismo gollista. Ma l’ironia della politica vuole che per il vero decollo suo e del partito sia da ringraziare il più grande avversario, cioè il capo della gauche, Mitterrand in persona.
Potrebbe essere chiamata la parabola del Legionario e del Fiorentino (così veniva chiamato il machiavellico presidente). E in effetti si tratta proprio di una mossa volpina ideata per evitare una sconfitta sicura alle politiche del 1986: reintrodurre di punto in bianco il sistema proporzionale, l’odiata proporzionale della Quarta repubblica, quella che aveva segnato anni di turbolenta instabilità, rigettata da de Gaulle e rifiutata dal popolo con il referendum del 1958 che Mitterrand allora aveva chiamato golpe bianco. Ebbene, grazie a questo escamotage il partito socialista rimane a galla, ma Le Pen prende il 9,65 per cento e 35 deputati. Il Fronte nazionale è legittimato, diventa una forza politica rilevante, risucchia voti dal fianco destro dei gollisti pur tra alti e bassi, divide l’eredità del generale. Due anni dopo, Mitterrand a scanso di equivoci torna al sistema maggioritario, Le Pen conferma i suoi consensi con il 9,66 per cento, ma ottiene solo un deputato. Intanto le file del partito crescono, arrivano le pattuglie monarchiche nostalgiche dell’Action française di Charles Maurras, ma soprattutto arriva la conquista dei poteri locali, in particolare nel sud che diventa la vera roccaforte lepenista, anche se lui viene dalla Bretagna, figlio di un pescatore lassù nel dipartimento del Finistère, la finis terrae di Giulio Cesare. Dalla Provenza alla Costa Azzurra, la ricca Francia del benessere pende a destra, verso l’estrema destra. Alle presidenziali del 2002 Le Pen arriva al ballottaggio contro Jacques Chirac con il 16,8 per cento al primo turno. Nel 2010 supera il 20 per cento e si candida in prima persona per la presidenza della regione Provences-Alpes-Côte d’Azur. In piena ebbrezza d’onnipotenza dichiara di essere immortale e fa capire che passerà il testimone alla figlia. Un anno dopo lascia la presidenza del Front National per poi pentirsene, perché Marine comincia la lunga marcia della “dédiabolisation”.
Tutto ha inizio dopo le presidenziali del 2012. Per dare un segnale di forte discontinuità rispetto al passato Marine (dal 2011 presidente dell’allora Front National per volontà del padre Jean-Marie) si rifiuta di partecipare ai grandi cortei organizzati dall’associazione Manif pour Tous contro i matrimoni tra omosessuali. Un colpo duro per i frontisti storici che iniziano a denunciare sul settimanale destrista “Minute” l’esistenza di una “lobby gay” ai vertici del partito. Un colpo ancor peggiore per il padre non più padrone. A capo della fronda c’è un’altra Le Pen, Marion, giovanissima deputata appena eletta a soli 23 anni, bionda e rampante non meno della zia. Sua madre Yan è la sorella di Marine e l’ha avuta da Samuel Maréchal, fondatore del movimento giovanile del Fronte. O meglio, lui l’ha riconosciuta come sua figlia quando la piccola aveva già due anni. Secondo un’inchiesta del settimanale L’Express il padre biologico sarebbe il giornalista e diplomatico Roger Auque, che nelle sue memorie lo confermerà. Jean-Marie, Marine, Marion, Le Pen e Maréchal, la saga familiare s’intreccia con le vicende politiche. Per punire la ribelle, la zia ripulisce il partito dei dissidenti, affidando il compito al suo compagno di allora, Louis Alliot chiamato “Loulou la purge”. E’ l’ultima goccia, il nonno si schiera con la nipote e i conservatori contro Marine, la quale cerca di uscire dall’ingombrante ombra di un padre che per dispetto apre il vaso delle sue peggiori convinzioni, a cominciare dall’antisemitismo, ribadendo pubblicamente che le camere a gas sono state “un dettaglio della storia”.
Il FN è a pezzi. Esplode anche il caso di Florian Philippot, numero due del partito, già alto funzionario formatosi all’Ena, che rappresenta il volto della svolta istituzionale. Scoperto dalla rivista Closer, è costretto ad ammettere la sua omosessualità. Nel 2017 lascia il partito ma intanto si era consumato il parricidio. L’occasione è l’ultima intemerata antisemita di Jean-Marie che esalta il regime del maresciallo Petain e la collaborazione con la Germania hitleriana. La presidente convoca i vertici del partito e propone un provvedimento disciplinare contro il padre nonché presidente onorario. Le Chef, come lo chiamano, s’appella alla magistratura, ma viene espulso. Uno scandalo che potrebbe essere anche una liberazione. La data fatidica è il 4 maggio 2015, il padre ripudia la figlia, dichiara di vergognarsi che porti il suo nome e si augura che possa perderlo il prima possibile. Marine si sente pronta a preparare la grande sfida del 2017 contro Macron, il giovane e scalpitante cavallo di razza che si era fatto le ossa dai Rothschild come già Georges Pompidou, al quale de Gaulle aveva lasciato la sua eredità politica. Solo che con Jean-Marie se ne vanno anche molti finanziatori e il partito resta all’asciutto. A questo punto scatta la trappola e Marine ci cade come una principiante. Ad aprirle le porte è niente meno che Vladimir Putin: una banca ritenuta vicina al Cremlino, la First Czech Russian Bank, presta nove milioni di euro al Front National. Non è un regalo, si pagano gli interessi, ma quel denaro puzza di zolfo e prenderà fuoco. Macron trionfa. Le fiamme arrivano fin dentro il partito. E’ Marion a rompere il Fronte: lascia ogni carica, ma non esattamente la politica. Su istigazione del nonno s’avvicina alla nuova stella che contende la bandiera dell’estrema destra, Éric Zemmour, con il quale organizza l’Union des droites, un soggetto politico che peschi sia tra i gollisti rimasti senza leader dopo Nicolas Sarkozy sia nel partito lepenista che nel frattempo è stato rinominato Rassemblement National. Alle elezioni presidenziali del 2022 Marion Maréchal sostiene Zemmour. Ma Jean-Marie alla fine appoggia la figlia che va di nuovo al ballottaggio contro Macron. Marine perde, ma ottiene il 41,45 per cento. “Sconfitta? No, questo risultato è una speranza”, dichiara.
Zemmour e Marion alla guida di Reconquête credono in una improbabile riconquista. La saga familiare, però, continua. Maréchal-Le Pen si era sposata con l’uomo d’affari Matthieu Decosse nel 29 luglio 2014. Insieme hanno una figlia, Olympe, ma hanno divorziato già nel 2016. Due anni dopo scoppia la passione tra Marion e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, il milanese Vincenzo Sofo che ha lasciato la Lega per non appoggiare Mario Draghi. L’11 settembre 2021 convolano alle agognate nozze, tuttavia zia Marine rifiuta di partecipare. C’è chi dice che questa ruggine domestica spieghi l’antipatia verso Giorgia Meloni, alla quale preferisce Matteo Salvini, come ha dichiarato più volte. Secondo altri è colpa di un peccato che non manca certo in Francia: l’invidia. Marine ha quel carattere fumantino che ha sempre regnato in famiglia. La rottura di Jean-Marie con sua moglie, la bella Pierrette, è segnata da liti e dispetti, persino su Playboy. Per 15 anni Le Pen ha rifiutato di pagarle gli alimenti e in una intervista del 1987 sulla rivista di Hefner, dichiara con disprezzo: “Se mia moglie ha bisogno di soldi può sempre fare le pulizie”. E lei risponde posando molto discinta per un servizio intitolato: “Madame Le Pen fa le pulizie nuda”. Marine, scandalizzata, rinnega la madre. “A questo punto non posso più chiamarla mamma”. Chissà se con il senno di poi l’avrà rivalutata, visto l’esito del rapporto con l’amato padre.
Secondo la giornalista Marine Turchi che la segue da anni, Marine non si è mai davvero liberata dal peso della famiglia. Sposata e divorziata due volte, ha tre figli con il primo marito e ora non intende più accasarsi, vive da nubile insieme a un’amica e tre gatti. All’anagrafe è registrata come Marion e all’inizio non aveva intenzione di mettersi in politica, la sorella maggiore Marie Caroline era la spalla paterna e lei aveva cominciato a esercitare come avvocato. Ma il suo è un cognome pesante e non è certo un passepartout per una carriera normale, così finisce a lavorare per il partito come consulente legale. La sua ascesa comincia nel 1998 e quattro anni dopo buca gli schermi televisivi difendendo il padre arrivato per la prima volta al secondo turno delle presidenziali, perse contro Sarkozy. Nasce così una nuova stella nel firmamento della destra e della politica francese. Un anno fa, prima delle elezioni, parla con i giornalisti di suo padre capace di trovare esattamente “le parole che più feriscono”, delle sue pene di cuore (“niente maschi in casa, anche le gatte sono femmine”) cercando di cancellare l’immagine di donna dura e cattiva per sostituirla con quella di donna sofferente e tutto sommato sola, come ha scritto Julie Rambal per Reuters. “Dimenticate il mio programma e considerate la donna che sono”, dice rivolgendosi agli elettori. Ma come si fa a dimenticare le parole d’ordine che restano nonostante il percorso di “normalizzazione”: protezionismo, xenofobia sotto l’etichetta “prima i francesi”, nazionalismo, pena capitale per i pedofili, contro l’euro, la Ue e la Nato. Così non potrà mai governare la Francia, anche se si dimostra attaccata alla laicità dello stato, non vuole abrogare la legge sull’aborto ed è moderata sui diritti degli omosessuali. La strada è lunga, il partito ora è affidato a Jordan Bardella che ha sconfitto al congresso Alliot, il futuro dipende dal coraggio di fugare gli spettri del passato. E’ lei la Cordelia che ama il padre di amore sincero e rifiuta l’adulazione. Chissà se si riappacificheranno davvero, come nella tragedia di Shakespeare, prima della battaglia finale che Jean-Marie Le Pen sta combattendo contro una nemica invincibile.