il commento
Colpire Putin è un obiettivo legittimo per l'Ucraina aggredita da uno “stato criminale”
Il presidente russo al Cremlino è un ostacolo quasi insormontabile per la fine della guerra. Ma ora Mosca sta già tentando di utilizzare l’attacco che ha denunciato per fare la prossima mossa contro Kyiv. Ecco perché non è un'escalation
Fonti russe – della cui correttezza è sempre opportuno dubitare, considerato il regime orwelliano che Vladimir Putin ha imposto sulla Russia – sostengono che le difese del Cremlino hanno sventato un attacco di droni organizzato dall’Ucraina allo scopo di attentare alla vita del presidente. La sicurezza con cui la responsabilità dell’attacco viene attribuita al governo di Kyiv non riesce però a dissipare i dubbi che, qualora esso sia veramente esistito, non possa essere stato opera di cellule di opposizione interna russa, o di quinte colonne di ucraini residenti in Russia o di una combinazione di entrambe le ipotesi. Neppure è da escludere che tutta l’operazione possa essere una montatura messa in piedi dal Cremlino stesso – non c’è traccia di danni neppure fisici al palazzo – per magnificare le capacità difensive russe (dopo la figuraccia rimediata con il rogo del mega deposito di carburante a Sebastopoli, quello sì rivendicato dagli ucraini) – e per fornire il pretesto per scatenare una rappresaglia indiscriminata contro obiettivi civili ucraini, qualora l’annunciata controffensiva ucraina dovesse collezionare significativi successi. In quattordici mesi di guerra la Russia ci ha infatti abituato all’utilizzo sistematico e spudorato della menzogna come neppure la Russia di Stalin praticava. Ma supponiamo per un attimo che davvero le autorità ucraine avessero organizzato l’attacco (cosa che peraltro negano), le domande che dovremmo porci sono sostanzialmente due: 1) si tratterebbe di un atto legittimo e utile alla causa della resistenza contro l’invasore? 2) saremmo di fronte a un atto di deliberata escalation del conflitto?
Riguardo al primo punto, occorre ricordare che gli attacchi selvaggi e indiscriminati cui la popolazione civile e le infrastrutture ucraine sono sottoposte dall’inizio della guerra e le modalità criminali con cui sono condotte dalle truppe russe giustificano la messa nel mirino di chi ha impartito gli ordini affinché simili orrori venissero perpetrati.
La designazione del regime di Putin come quello di uno “stato criminale” (Putin è già indagato per la deportazione di migliaia di bambini ucraini dalla Corte penale internazionale) lo colloca nella posizione di essere un legittimo target militare: quantomeno agli occhi degli ucraini, ma non soltanto ai loro. La portavoce di Volodymyr Zelensky ha peraltro avuto buon gioco a rammentare che, fin dalle fasi iniziali del conflitto, i russi hanno perseguito l’obiettivo di eliminare fisicamente il presidente ucraino. La distruzione di un intero battaglione di Spetsnaz che nelle prime ore di guerra aveva cercato di raggiungere il palazzo presidenziale a Kyiv è lì ad attestarlo. D’altronde, anche durante la guerra contro Hitler, gli alleati occidentali avevano preso in considerazione l’ipotesi della sua eliminazione, che venne accantonata solo per la pratica impossibilità di attuarla e per evitare di trasformarlo in un martire agli occhi dei tedeschi.
Tutti sono peraltro consapevoli che la stessa permanenza di Putin al Cremlino è un ostacolo in più, forse insormontabile, per qualunque tentativo di porre fine alla guerra. Il successore di Putin potrebbe evidentemente gestire con maggiore elasticità, rispetto al suo ideatore, il dossier di una guerra fallimentare, caratterizzata dalla sempre più evidente impossibilità per la Russia di conseguire gli obiettivi politici e financo militari che essa si era proposta di raggiungere con l’invasione.
E riguardo all’escalation? Qui occorre considerare che – vero o falso che sia l’attacco e a prescindere da chi lo abbia ideato – i russi stanno già utilizzandolo per giustificare la loro prossima escalation. Da quando la guerra è iniziata, i russi non hanno mai avuto bisogno di pretesti per aumentare la dimensione e le modalità indiscriminate di esercizio della violenza nei confronti degli ucraini. La frustrazione per il fallimento militare e la rabbia di fronte al valore e alla determinazione dimostrata dal popolo e dalle autorità ucraine sono state “ragioni” più che sufficienti per salire di livello. Un po’ come capita a qualche filorusso nostrano la cui compiaciuta violenza verbale cresce con l’aumentare del gap tra ciò che raccontano e prevedono e la realtà effettuale. Nella testa della leadership russa qualunque prospettiva diversa dalla resa dell’Ucraina costituisce un’insopportabile provocazione e merita una punizione esemplare. L’escalation preventiva russa in previsione dell’offensiva ucraina di primavera è già di fatto iniziata nelle settimane scorse con l’aumento dei bombardamenti terroristici su obiettivi civili e su obiettivi completamente privi di qualunque rilevanza militare e molto lontani dal fronte e dalle linee di rifornimento e sostegno logistico.
Di sicuro, però, una notizia simile preoccuperà quella parte (crescente) delle opinioni pubbliche occidentali che è tutt’altro che solidale rispetto al diritto ucraino di difendere la propria terra, la propria vita, le proprie case e la propria libertà di fronte a una brutale e ingiustificata aggressione e che è pronta a qualificare come “eccessiva” qualunque azione che consenta all’Ucraina di non doversi arrendere. Così come alimenterà quel filone di pensiero che ritiene gli ucraini “inaffidabili” proprio perché troppo attaccati alla loro libertà, così radicato in frazioni consistenti delle nostre élite politiche e intellettuali. Sono anche queste le considerazioni che fanno sentire puzza di bruciato nella versione fornita dai russi e che alimentano il dubbio che tutta la faccenda sia l’ennesima, clamorosa trovata propagandistica. E i russi l’unica battaglia che hanno fin qui vinto è stata quella propagandistica: tanto quella combattuta con le bugie dalla grana più grossolana (ricordate quelli che sostenevano che i civili massacrati a Bucha fossero comparse?) tanto quella frutto di strumenti più raffinati, messa in atto fin dal 2014 e così efficace da arrivare al punto che, nei documenti ufficiali della Ue post annessione della Crimea e relativi al contributo europeo alla sicurezza dell’Ucraina e più complessivamente alla difesa europea rispetto alle minacce sul suo fianco orientale, le parole “guerra” e “invasione” non compaiono mai fino al 2022.