La forza di una lettera
Scrivete ai prigionieri politici in carcere in Russia, è un gesto prezioso. Si fa così
La giornata mondiale per la libertà di stampa al Giardino dei giusti di Milano ricordando le vittime della repressione di Mosca: con meno di due euro si può scrivere una lettera a un detenuto nella Federazione russa
“Per favore, scrivete lettere ai prigionieri politici”, ha detto Evgenia Kara-Murza, la moglie di Vladimir, condannato qualche settimana fa da un tribunale russo a 25 anni di carcere per essersi opposto alla guerra in Ucraina. Scrivete, scrivete, le lettere sono un bene prezioso “per il morale dei detenuti, combattono l’isolamento e danno speranza”, sono lo strumento per mostrare solidarietà e affievolire la solitudine, perché in quelle celle, come in tutte le celle, si rischia di essere scordati e ignorati, che è poi l’obiettivo di Vladimir Putin e di tutti i regimi, reprimere il dissenso, levarcerlo da sotto gli occhi così poi noi finiremo per dimenticarlo.
Oggi al Giardino dei giusti di Milano si è celebrata la giornata mondiale per la libertà di stampa ricordando i giornalisti che sono finiti nelle carceri russe, gli attivisti, i dissidenti, chi si oppone alla guerra, le vittime della repressione russa contro chi cerca di raccontare e testimoniare la realtà. Con la regia della Fondazione Gariwo, tra le gigantografie dell’installazione fotografica “Inversione” del fotografo Danila Tkachenko (inseguito da un mandato di arresto internazionale dello stato russo per aver manifestato contro la guerra), alcuni giornalisti e attivisti russi, ucraini e bielorussi hanno raccontato quest’anno di conflitto e la persecuzione del dissenso in ogni angolo raggiungibile dalla violenza russa. Hanno fatto i nomi, soprattutto, di chi è rinchiuso nelle prigioni dei regimi, i nomi che sentiamo più spesso – Evan Gershkovich, il reporter del Wall Street Journal arrestato con l’accusa di spionaggio – e quelli che sentiamo poco, come le voci dei 25 prigionieri politici russi raccolte nel volume “Proteggi le mie parole”. Qualche giorno fa sul Financial Times, Polina Ivanova ha scritto una lettera a “Evan, il mio amico rinchiuso in una prigione russa”, che cominciava così: “Scrivere al mio migliore amico costa 20 rubli a pagina, 65 per la busta, 75 in più per dargli la possibilità di rispondere”: con meno di due euro, si può far sentire meno solo un detenuto. Gershkovich ha risposto ai suoi amici, “fa battute, descrive i piccoli e quasi divertenti dettagli della vita in prigione per farci ridere”; anche la mamma della Ivanova gli ha scritto: “Hai avuto una giovinezza bellissima a Mosca, nessuno può rubartela”. Il giornalista le ha risposto: “Sto ancora girovagando per Mosca, solo in un unico posto, per ora”.
Al Giardino dei giusti, Maria Mikaelyan della Comunità dei russi liberi mi ha detto che le lettere sono importanti, che più ne arrivano più si ha la possibilità che almeno qualcuna passi la censura delle guardie e arrivi al detenuto. Per le carceri in cui ci sono i prigioneri ancora sotto processo si usa il Fsin pis’mo, il sistema centralizzato gestito dalle carceri per le lettere ai detenuti: con meno di un euro (che va ai carcerieri) puoi mandare un’email, il sistema ti dice se la lettera è stata accettata, “ma non saprai mai se poi il destinatario l’ha potuta leggere”, dice Maria. Nelle colonie penali è peggio: c’è un sistema gratuito di missive gestito da attivisti che si chiama Rosuznik (si possono anche fare donazioni), le lettere poi vengono raccolte dagli avvocati che sono gli unici interlocutori dei detenuti che hanno già ricevuto una o più condanne. Gli avvocati le stampano, le mettono negli scatoloni, “ma non è detto che poi riescano a consegnarle – dice Maria – Hanno sempre poco tempo con i loro assistiti e altre urgenze in quei pochi minuti concessi”. Ma qualcosa passa e arriva, come ha detto Alexei Navalny, ringraziando della solidarietà che riesce a sentire anche oltre il muro della censura, delle privazioni, dell’isolamento: le lettere sono preziose.
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