verso l'incoronazione
Carlo III, il re impiccione che ha già fatto rimpiangere la madre
In 70 lunghissimi anni di regno, su Elisabetta non è mai trapelato alcun parere politico e personale. Il suo erede invece non fa mistero dei suoi pensieri, si intrufola nelle questioni del Parlamento e manda segnali europeisti. Ma il ritorno di una monarchia attiva fa storcere il naso a molti
Nell’austera e imponente Westminster Hall, la sala fatta costruire sul finire dell’anno Mille dal figlio di Guglielmo il Conquistatore, con il suo soffitto in legno autoportante, considerata la più grande opera di carpenteria medievale, i parlamentari inglesi da tempo si scambiano battute: “Ma ti ha chiamato?” o “A te ha mandato la letterina?”. Lui è Carlo III, dallo scorso il nuovo re d’Inghilterra, per decenni noto a tutti come Principe Carlo. Chiama e scrive, di continuo, ai parlamentari, non mancando di far sapere come la pensa su qualsiasi argomento, dando indicazioni e suggerimenti. In quella stessa sala, il nucleo più antico della Houses of Parliament, sei mesi prima era stato esposto il catafalco della regina Elisabetta II, con milioni di sudditi che si sono messi pazientemente in fila giorno e notte pur di omaggiare, per una manciata di secondi, il feretro della sovrana. Tanto Elisabetta ha frantumato ogni record storico, quanto il figlio li ha battuti in negativo: Carlo è il re più anziano nella storia della corona britannica, salito al trono all’alba dei 73 anni, superando, quanto a vecchiaia, pure il prozio Edoardo VII, il figlio della regina Vittoria, il quale però sapeva come ingannare l’attesa: era un habitué dei più famosi bordelli di Parigi. Carlo, invece, ha avuto un altro passatempo: da decenni è un interventista, si intrufola nelle questioni del Parlamento, che per gli inglesi è sacro. Finché lo ha fatto da principe, ereditario sì, ma pur sempre principe, era un peccatuccio veniale. Ora, però, lo fa da sovrano.
La sera del 29 marzo, Carlo è stato ricevuto con tutti gli onori militari alla Porta di Brandeburgo dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, e poi ha incantato il Bundestag con un discorso pronunciato in tedesco, con pure un ottimo accento teutonico: non gli è venuto troppo difficile, essendo che la famiglia reale inglese è una germanicissima Coburgo-Gotha e si è cambiata il nome nel più accettabile Windsor durante la Prima guerra mondiale. Per Carlo è stata la sua prima visita di stato da sovrano: non solo l’ha fatta da re non ancora incoronato, segno di una fretta di voler intervenire nella politica, ma ha scelto come paesi della sua prima uscita internazionale, i due cardini della Ue: Germania e Francia (quest’ultima cancellata per via degli scontri in strada). Per i puristi è un affronto; sua madre, e qualsiasi altro suo avo, avrebbe fatto il primo viaggio in uno dei paesi del Commonwealth, per rinsaldare la presa sull’impero, che è stato abolito formalmente ma mai del tutto nella sostanza. Prima ancora di incontrare i vertici della Germania, Carlo ha lanciato un segnale politico: la Corona sta dalla parte dell’Unione europea.
Quando la presidente Ue, Ursula Von der Leyen, è arrivata a Londra in treno, lo scorso marzo, per annunciare l’accordo sul Protocollo dell’Irlanda del nord (un addentellato della Brexit) ha incontrato il premier Rishi Sunak. E fin qui, tutto normale. Meno rituale che anche il re abbia voluto incontrarla e farsi fotografare. Non è un caso che la Pax Britannica tra gli albionici ed Eurolandia si chiami Windsor Agreement e sia stato firmato nel castello fatto costruire da Edoardo III, il sancta sanctorum della monarchia inglese, dove sono custodite le ceneri di tutti i sovrani: i simboli, politicamente, pesano. E non è un caso nemmeno il recente viaggio nel cuore della Ue: non solo Carlo è un re impiccione, ma – e questo spaventa molto più i sudditi conservatori e l’ala più radicale del Partito conservatore – è il picconatore della Brexit. A Buckingham Palace è arrivato un anziano, e un po’ rancoroso, Cossiga che, come la vecchia talpa della rivoluzione comunista, lavora dal dentro per far implodere la scelta dei cittadini inglesi di lasciare l’Unione europea: scelta che, giusta o sbagliata, è pur sempre una scelta democratica.
In 70 lunghissimi, e interminabili, anni di regno, su Elisabetta non è mai trapelato alcun parere politico e personale. Men che meno si è mai saputo quale fosse la sua posizione sulla Brexit, lo psicodramma nazionale degli ultimi dieci anni. Del figlio, invece, si sapeva già quale fosse il suo pensiero su ogni argomento. Sono gli effetti di un sovrano vecchio, ma un sovrano esternatore e interventista cozza con i princìpi fondanti della Gran Bretagna, che si vanta di aver abolito la monarchia senza aver sparso una goccia di sangue né tantomeno inventato le ghigliottine (il riferimento è ai rivali francesi). Fin dai tempi di Oliver Cromwell, il cui corpo fu dissepolto dall’Abbazia di Westminster per essere vilipeso, il patto costituzionale che regge il paese è la separazione di ruoli e poteri: il Parlamento ha pieni poteri, i re si limitano a un ruolo di rappresentanza, in cambio della loro permanenza nel sistema. La corona non governa, né fa politica. E se lo fa, perché è ovvio che i sovrani abbiano un peso comunque ce l’abbiano, lo fa con garbo e soprattutto in disparte. Proprio nella stessa abbazia benedettina, costruita da san Edoardo il Confessore, primo dei nove Edoardi della monarchia inglese, il 6 maggio Carlo riceverà la benedizione divina dall’arcivescovo di Canterbury e sarà incoronato re Carlo III, seguendo una tradizione millenaria dove potere temporale e potere religioso ancora sono uniti. Grandi polemiche stanno già divampando perché i preparativi pare siano in grosso ritardo; mentre la preoccupazione del sovrano è tutta concentrata sull’olio sacro per l’unzione (anointment) che, per la gioia di Greta, sarà vegano. Sullo sfondo, poi, continua la telenovela di Harry&Meghan, con il principe che inizialmente sembrava non dovesse partecipare e invece alla fine è stato invitato (perché non farlo avrebbe distratto attenzione dalla cerimonia), ma andrà senza l’ingombrante, e odiata, moglie americana. Nulla di grave, alla fine tutto si risolverà, ma rimane la sgradevole e crescente sensazione che, rispetto a Elisabetta, il cui funerale fu una macchina perfetta, per non parlare del principe Filippo che aveva pure progettato personalmente il carro funebre, l’èra di Carlo III indebolirà la monarchia.
Dalle simpatie woke al filoeuropeismo, in questi pochi mesi di regno, il nuovo sovrano ha già minato alle fondamenta l’istituzione. E non solo per il fin troppo evidente attivismo politico. Tra i monarchici in purezza, poi, c’è chi ha anche storto il naso sulla mancata scelta di un nome da sovrano: Carlo ha voluto mantenere il suo. A prima vista, è un modo per mettersi sulla scia della madre, continuare la tradizione della più grande sovrana inglese. Solo che c’è una grossa differenza: Elisabetta, scegliendo di farsi chiamare col suo nome di battesimo, si rifaceva a un’illustre antenata, quella Elisabetta I, figlia di Enrico VIII, la Regina Vergine. Gloriana, come la battezzò il poeta Benjamin Britten, è considerata la fondatrice dell’impero britannico; la sua epoca uno degli apici della storia inglese, incarnata dal genio di William Shakespeare. I predecessori di Carlo, invece, non possono vantare altrettanto prestigio: Carlo I, che in realtà era uno scozzese, il figlio di Giacomo VI della dinastia Stuarda, è passato alla storia per essere stato l’unico re inglese condannato a morte, nel 1649, per altro tradimento. Il figlio, Carlo II, soprannominato il Monarca Felice, regnò durante i disordini religiosi tra cattolici e protestanti. Mutatis mutandis, anche il suo discendente Carlo III ha altrettanti problemi religiosi in casa: l’islamizzazione galoppante in Gran Bretagna (Leicester è la prima città d’Europa dove i musulmani hanno superato i cristiani) sta creando grossi problemi di integrazione e di sicurezza; mentre la Chiesa di Inghilterra, che fa capo al sovrano dai tempi dello scisma anglicano (la prima vera Brexit della storia) si macera in dibattiti lunari sull’abolizione del pronome “He” (Egli) per Dio, perché troppo maschilista e non abbastanza inclusivo.
Ultima picconata di re Carlo, pochi giorni prima di imbarcarsi sul volo per Berlino, è stato l’annuncio di uno snellimento della monarchia, per renderla più moderna e al passo coi tempi. Taglierà soldi e titoli alla sua sterminata famiglia: dovranno sostentarsi da soli. Una monarchia che pesi meno sui conti dello stato (la corona riceve dal governo un generosissimo stanziamento annuale per coprire le spese di rappresentanza che i reali svolgono per conto del paese) è una notizia che i cittadini inglesi accoglieranno con sollievo, ma è anche una decisione che in prospettiva indebolisce
Buckingham Palace. Senza più gli emolumenti pubblici, e costretti a trovarsi uno stipendio, i membri della famiglia reale saranno tentati di vendersi ai media, come i duchi di Sussex hanno già mostrato, o, peggio, di diventare lobbisti, a forte rischio di corruzione. Ma il problema è, prima ancora, di principio: ha davvero senso modernizzare un’istituzione che poggia il suo senso proprio nella anti-modernità, che fa dell’anacronismo il segreto del suo imperituro successo?