La riflessione
Perché l'Ue sbaglia a voler replicare lo schema Anac a livello europeo
Dopo l'inchiesta della magistratura belga sul Qatar gate, la Commissione si è data l'obiettivo di combattere la corruzione dei paesi membri. Ma ci sono diversi interrogativi sull'efficacia (e il senso) delle diverse autorità nazionali
La Commissione europea è in procinto di approvare un pacchetto anticorruzione ambizioso e articolato: ambizioso, perché volto a contrastare la corruzione a livello globale; articolato, perché consta, oltre che di una comunicazione, di una proposta di direttiva e di un’altra proposta, per l’adozione di un regolamento, cioè di un atto normativo vincolante per tutti i paesi membri dell’Ue. Nel novero delle misure prospettate, vi sono la costituzione di un organismo etico indipendente e la previsione di nuove fattispecie di reato a livello europeo, come il traffico d’influenza e l’abuso di ufficio.
Evidentemente trainata dal clamore suscitato dall’inchiesta della magistratura belga su vari esponenti del Parlamento europeo, l’iniziativa della Commissione merita un’attenta riflessione, per tre motivi.
Il primo è che l’Ue si è già dotata, nel corso degli anni, di regole e istituzioni per contrastare la corruzione. Una convenzione sulla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti i funzionari europei e nazionali è stata adottata fin dal 1997. Un ufficio europeo per la lotta antifrode è stato istituito nel 1999 ed è previsto che esso agisca in stretta cooperazione con la Procura europea. Nuove norme sono state emanate per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nella cornice del fondo per la ripresa dell’Europa. Siamo proprio sicuri che sia necessario stabilirne altre, anziché attuare quelle già esistenti?
Il secondo motivo per cui l’iniziativa della Commissione dev’essere ben ponderata riguarda il suo potenziale impatto sulle legislazioni nazionali. In molti casi, è necessario stabilire norme valide per tutti gli stati membri. La protezione della libera concorrenza è uno di questi casi, con importanti ricadute sui servizi pubblici, dall’energia elettrica alle comunicazioni elettroniche. Tuttavia, vi sono limiti alla sostituzione delle norme nazionali con quelle dell’Ue, anche per un fine condivisibile, come la lotta alle attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Ue ai sensi dell’articolo 325 del trattato sul funzionamento dell’unione. Non a caso, un’altra disposizione – l’articolo 197 – che sviluppa la cooperazione amministrativa tra gli stati membri per garantire l’attuazione effettiva del diritto europeo autorizza l’emanazione di regolamenti, ma esclude espressamente “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari” nazionali.
Il terzo motivo che induce a nutrire dubbi sulle misure che la Commissione propone è di natura politica. Negli ultimi anni l’Ue ha avuto il merito di assumere compiti nuovi e importanti per tutti gli europei, dalla lotta alla pandemia all’approvvigionamento di energia elettrica e gas. Ma è stata anche criticata da più parti perché si è caricata di troppi compiti. Non sarebbe saggio concentrarsi su quelli essenziali, lasciando il resto ai poteri pubblici nazionali? Tra l’altro, l’esperienza acquisita in Italia sull’abuso di ufficio non è proprio un buon viatico per la sua estensione all’Europa unita.