storia e propaganda
L'Ucraina ha un vantaggio decisivo: i suoi sensori democratici all'erta
Zelensky oggi non ha voluto che l’Ucraina celebrasse non la vittoria del 1945, ma la festa dell’Europa, mentre Putin si sforzava di costruire anti-realtà mortifere. La nostalgia putiniana che riscrive la storia russa è fallimentare a confronto con lo slancio in avanti di Kyiv, che sa immaginare il suo futuro
Riscrivere e aggiustare il passato per dare legittimità a un presente fallimentare è lo sforzo che ancora una volta si percepisce nella messa in scena della parata per la vittoria nella grande guerra patriottica, le cui celebrazioni Vladimir Putin ha voluto sempre più collocare a stipite di fondazione del suo regime e, insieme, a chiave di volta dell’arco che, nella sua rappresentazione, connette l’impero zarista con la tetra quotidianità del suo regime orwelliano. A mano a mano che riscriveva la storia russa e trasformava lo sforzo collettivo delle nazionalità che – insieme – combatterono non per la grandezza di Mosca o del comunismo, ma per la sopravvivenza rispetto a una brutale aggressione, il despota del Cremlino ha cercato di emarginare le altre repubbliche ex sovietiche dalla tragedia del secondo conflitto mondiale. Gli ucraini prima hanno avuto buon gioco a rammentare a Putin che il loro popolo è stato protagonista quanto quello russo della lotta contro la Germania nazista, ma anche che oggi la resistenza ucraina contro l’invasore russo evoca semmai Putin nel ruolo che fu di Hitler. Volodymyr Zelensky però non si è accontentato di questo, ha voluto che l’Ucraina il 9 maggio celebrasse non la vittoria del 1945, ma la festa dell’Europa, nata con il Trattato di Roma del 1957.
La Germania, peraltro, si arrese l’8 maggio 1945 e fu Stalin a volere una cerimonia separata e successiva, il 9 maggio, per marcare che la “sua” guerra contro Hitler non coincideva con quella delle democrazie. Ineccepibile, dal punto di vista storico e politico: il mondo che Stalin voleva (e tentò di ricostruire dopo il 1945) non aveva nulla a che fare con il progetto di ordine liberale pensato da Roosevelt e Churchill. Lo abbiamo constatato nei decenni della guerra fredda e del Patto di Varsavia e lo rivediamo oggi, nelle distruzioni che Putin impone all’Ucraina (“ribelle” perché democratica). L’Ucraina democratica, fiera e valorosa nel difendere la propria libertà, non riscrive il passato, non lo aggiusta per renderlo coerente al presente, ma traguarda il presente sul futuro: e in questo fa politica vera e vitale tanto quanto la dispotica Russia costruisce non-verità e anti-realtà mortifere.
Gli Ucraini ci ricordano come la politica democratica assolve alla sua funzione e giustifica la sua necessità e il suo inevitabile costo solo se non si sottrae alla sfida di immaginare il futuro, nel fornire il suo insostituibile contributo a definire il quadro nel quale i mille sforzi individuali e collettivi, ma comunque liberi in una società aperta, andranno a definirne i colori e il soggetto. La capacità di sacrificarsi oggi per continuare a nutrire la speranza di un domani, questo è ciò che rende un popolo vivo e vitale, che ne schiude il futuro e lo fa vincere contro la morte e le forze distruttive che gli vengono scatenate contro. Ma l’Ucraina ci ricorda anche che nella situazione attuale, caratterizzata da una condizione di elevata volatilità, da una “stabile instabilità”, ciò che conta non è solo la capacità di pianificare sul lungo periodo, l’illusione di poter prevedere tutto e quindi collocare ogni cosa in una pianificazione accuratissima e onnisciente: troppe sono le variabili intervenienti, alcune delle quali del tutto imprevedibili se non inimmaginabili. Metaforicamente, navighiamo su mari in cui l’onda corta batte incessantemente sul fasciame e sballotta lo scafo, costringendoci a continui piccoli aggiustamenti per mantenere al vento il nostro vascello. Ma mentre dobbiamo conciliare onda e vento col timone, non dobbiamo mai perdere di vista la bussola e la rotta che dobbiamo seguire, per muoverci verso il “nostro” futuro e non verso quello che altri vorrebbero determinare per noi.
La guerra esalta tragicamente questo cambiamento, ma esso è il tratto comune e dominante della complessità contemporanea, legato all’accelerazione della velocità, alla moltiplicazione delle possibilità, alla frequenza incessante dei momenti di scelta. Dovremo mantenere salda la rotta – nonostante gli sballottamenti anche violenti – e contemporaneamente aggiustare continuamente l’andatura. In termini non metaforici, l’arbitraggio tra ricorrenti decisioni di breve periodo e scelte di lungo periodo è già sempre più decisivo, e non sarà per nulla facile né scontato non imboccare nel breve periodo corsi d’azione che potrebbero far salire il costo, la distanza o la stessa possibilità di perseguire gli obiettivi di lungo periodo. Per noi, democrazie occidentali, questi ultimi si concretizzano nel mantenimento di un ambiente – internazionale e domestico – che sia favorevole alla sopravvivenza e allo sviluppo di una democrazia rappresentativa e partecipata, di un’economia di mercato sostenibile e di una società aperta e inclusiva. Negli ultimi trent’anni abbiamo spesso dimostrato di privilegiare le scelte di breve periodo rispetto a quelle di lungo, anche quando le prime erano evidentemente incompatibili con le seconde. Il corretto arbitraggio non sarà sempre facile da realizzare, ma dobbiamo essere consapevoli che democrazia, mercato e società aperta ci offrono le migliori condizioni per riuscire nello scopo, perché ci consentono di correggere continuamente gli errori che possiamo compiere proprio grazie ai mille sensori e ai mille connettori che permettono di cogliere e trasmettere gli innumerevoli stimoli e segnali di eventuale inappropriatezza delle nostre decisioni. E’ il vantaggio decisivo che le democrazie hanno nei confronti dei dispotismi, è quello che sta determinando il successo della resistenza ucraina e il fallimento dell’aggressione russa.
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