Regimi alla rovescia
Nel mondo alla rovescia degli orbaniani i tiranni sono i liberali
Così gli amici internazionali del premier ungherese Viktor Orbán pianificano l’assalto (molto putiniano) contro il virus liberal-progressista. Un fronte conservatore unito contro la woke zone
Milano. “L’Ungheria è diventata l’incubatrice delle politiche conservatrici – ha detto Viktor Orbán accogliendo esponenti politici di destra a Budapest per l’edizione europea della conferenza Cpac, la settimana scorsa – Abbiamo fermato i migranti ai nostri confini, abbiamo messo fine alla propaganda sul gender nelle scuole e stiamo lavorando senza sosta per la pace. Questa è la cura contro il virus liberal-progressista”. No ai migranti, no al gender e no alla guerra è lo slogan proposto dal premier ungherese per riassumere l’evento e la sua visione del mondo: fu lui il primo a dire qualche anno fa che l’Unione europea è meno libera dell’Unione sovietica (capovolgendo in una frase il mondo e pure la sua stessa battaglia contro il comunismo) e oggi aggiorna ulteriormente la sua ideologia unendo un fronte conservatore contro quel che definisce la tirannia liberale.
Ad accogliere ospiti, pubblico e giornalisti (non tutti, per molti, come ha raccontato su Politico Jacob Heilbrunn, direttore di National Interest, non si è trovato posto: “Siamo pieni”) all’entrata all’esterno della “Balena”, il centro congressi lungo il Danubio, c’era la scritta: “No woke zone”. Dentro si sono avvicendati i leader della destra europea e internazionale (per l’Italia i rappresentanti erano il presidente di Nazione futura Francesco Giubilei, il leader dell’Istituto Machiavelli Daniele Scalea, i leghisti Simone Billi e Guglielmo Picchi), molti americani hanno inviato video “esclusivi” in cui ripetono in realtà le loro solite cose, con qualche comicità involontaria come il filmato inviato da Tucker Carlson, evidentemente registrato prima di essere licenziato da Fox News.
C’è una grande fascinazione nei confronti del modello ideologico ungherese e Orbán si è guardato bene da citare il fatto che sta facendo concessioni ai mostri liberali perché senza i soldi dell’Unione europea il suo paese non starebbe in piedi. Ma questo è il mondo alla rovescia, la realtà conta fino a un certo punto, conta molto di più la volontà di fare rete, di creare un’alleanza nel cuore dell’occidente che rifiuta il liberalismo come elemento costituente e che ne propone uno alternativo. La contiguità con la Russia non è secondaria: Kari Lake, candiata trumpiana sconfitta in Arizona alle elezioni di metà mandato, ha detto che “l’unico modo per fermare la guerra è di chiudere il rubinetto dei soldi, direi che dovremmo investire nella protezione dei nostri confini, non di quelli dell’Ucraina”. E’ questa la versione politica e volontaria di quel che hanno raccontato alcuni giornali domenica sulle manifestazioni sponsorizzate dalla Russia in Europa, e anche se in occidente è una posizione di minoranza, questa federazione di attori conservatori vuole farla risuonare più forte perché, proprio come Vladimir Putin, sa che stanchezza e disunione possono essere alimentate. L’obiettivo è sovvertire l’ordine liberale che, in tutti gli interventi e in tutti i panel, che ci fossero europei o americani, è considerato la più grande tirannia esistente sulla terra.
Il concetto di libertà è stato strapazzato in tutti i modi conoscibili, la difesa “del nostro modo di vivere” è diventata muri e ostilità nei confronti dei migranti da parte “dei patrioti amanti della libertà”, i liberali sono stati descritti come forze sataniche, anti cristiane e naturalmente woke, un’ideologia parificata al nazifascismo. “Non tolleriamo le persone che si infilano sotto ai nostri piumini e interferiscono nella nostra vita privata”, ha detto la storica ungherese Mária Schmidt alla quale devono essere sfuggite tutte le misure prescrittive (liste di libri banditi inclusi) che sono state introdotte sia nel suo paese sia negli Stati Uniti con la scusa della guerra contro la wokeness. Questo assetto da combattimento contro la tirannia liberale prevede anche, come sempre, un gran vittimismo, per cui ogni intervento è stato accompagnato da un aneddoto su qualche persecuzione percepita che è una cosa molto woke.