il paese alle urne

La Thailandia al voto con l'ombra dell'ennesimo colpo di stato

Massimo Morello

Alle elezioni di domenica c'è in gioco la definizione stessa di paese, in bilico tra populismo e classismo, tra obsolescenza e rinnovamento. "A Bangkok bisogna saper leggere i sottintesi", dice la scrittrice thailandese idolo della Generazione Z

A fine aprile, in un centro culturale di Bangkok che sembra la scenografia di un’opera di Strehler in salsa orientale, si discuteva di letteratura. Kong Rithdee, sceneggiatore e traduttore, spiegava come non si possa tradurre un modo di pensare. Veeraporn Nitiprapha, sessantenne scrittrice dall’aspetto di folletto divenuta un idolo della Generazione Z per le sue campagne contro il principio gerarchico, sosteneva che bisognava cercare di cambiarlo. Entrambi, sottintendevano un giudizio sulle prossime elezioni del 14 maggio. Potrebbero essere il modo per rovesciare completamente un modo di pensare. Ma al tempo stesso è difficile valutarle secondo i codici della politologia occidentale. "A Bangkok bisogna leggere i sottintesi", ha detto Veera. "Da un punto di vista medico, i dottori raccomandano l’uso dei sex toys anziché rivolgersi ai servizi di professioniste o tradire il partner", ha dichiarato Ratchada Thanadirek, esponente del partito democratico, il più antico partito thailandese. E così si rappresenta in modo plastico e pittoresco la campagna elettorale. La legalizzazione dei sex toys è l’ultima “disperata mossa” della formazione conservatrice, un tempo rappresentanza dell’élite culturale, per riguadagnare qualche volto.

 

Il Bhumjaithai Party, guidato dall’attuale ministro della Sanità Anutin Charnvirakul, considerato il vero kingmaker per l’elezione in Parlamento del primo ministro, gioca sul sicuro con le sue proposte in favore dei coltivatori di cannabis. Il Pheu Thai, il maggior partito dell’attuale opposizione, favorito da tutti i sondaggi, continua nella sua politica ultrapopulista. Questa volta con la promessa di un bonifico di 10 mila baht (circa 270 euro) per tutti i cittadini adulti. Sempre il Pheu Thai, nella persona della sua frontrunner Paetongtarn “Ung-Ing” Shinawatra, ha conquistato il suo elettorato presentando ufficialmente il secondo figlio, nato il 2 di maggio. Il che sembra di buon auspicio per la dinastia Shinawatra, ormai alla terza incarnazione politica. Ung Ing, infatti, è figlia di Thaksin Shinawatra, il multimiliardario divenuto primo ministro e deposto da un colpo di stato nel 2006. Nel 2011 fu poi eletta la sorella di Thaksin, Yingluck, a sua volta deposta nel colpo di stato del 2014.

 

Invece i partiti oggi al governo, emanazione della giunta militare che prese il potere nel 2014, stanno soffrendo per l’ormai aperta ostilità tra due generali riconvertiti alla politica. Il generale Prayuth Chan-ocha, autore del golpe e attuale primo ministro, ha abbandonato il partito di cui era leader, il Palang Pracharath, per fondarne uno tutto suo, lo United Thai Nation. Il secondo generale, Prawit Wongsuwon, che da militare era il superiore di Prayuth e da politico ne era il vice, è apparso ringiovanito e rinvigorito da che è riuscito a prendere il controllo del Palang Pracharath. E anche lui ha promesso una pioggia di denaro: 30 mila baht (circa 800 euro) ma “solo” agli 8 milioni di agricoltori. In questa prospettiva le elezioni thai potrebbero apparire l’ennesima, pittoresca manifestazione di politica asiatica: un intreccio di populismo, voto di scambio, corruzioni, intrecci dinastici, democrazia limitata. Come ha dichiarato il generale Prawit, tanto per dirne una, “Xi Jinping non ha mai dovuto dimostrare le sue capacità con un dibattito”.

 

Fa eccezione il candidato emergente, il favorito dei sondaggi, Pita Limjaroenrat, 43 anni, esponente del progressista Move Forward Party. Ma anche in questo caso ci si ritrova in una situazione “very thai”. Il partito è la reincarnazione del Future Forward, fondato dal giovane miliardario  Thanathorn Juangroongruangkit nel 2018. Un partito sciolto con accuse d’ogni genere, compresa quella di voler sovvertire la monarchia, dopo che alle elezioni del 2019 si era imposto come possibile forza di governo. Pita appare una sorta di avatar di Thanathorn, ben più prestante della media thai, di una famiglia dell’élite, con studi in prestigiose università americane. Proprio per queste caratteristiche, in una società che considera ricchezza e bellezza un segno del karma, riesce a conquistare anche il favore dell’ammart, il popolo.

 

Domenica, quando si terranno le elezioni, è in gioco la definizione stessa di paese, in bilico tra populismo e classismo, tra obsolescenza e rinnovamento. Dall’Istruzione, in cui il maestro è incontestabile, alla Difesa, dato che i coscritti sono impiegati anche come camerieri per gli ufficiali. Uno dei punti più delicati proprio per la sua valenza simbolica, è la riforma dell’articolo 112 del codice penale, che prevede una pena dai 3 anni ai 15 di carcere per chiunque “insulti o diffami” la famiglia reale. Articolo usato come arma contro gli avversari politici e da deterrente per i giovani che mettono in dubbio l’ordine costituito.

 

Ciò che accadrà non dipende dal voto, bensì dal fatto che il voto venga rispettato. I sondaggi danno largamente in vantaggio la coalizione di Pheu Thai e Move Forward Party, che potrebbe aggiudicarsi quasi l’80 per cento dei voti e la maggioranza dei 500 seggi della Camera bassa. Secondo la Costituzione promulgata dai militari nel 2017, però, i 250 posti del Senato sono a nomina militare e il primo ministro è eletto da tutto il Parlamento. La prima dimostrazione di democrazia restaurata sarebbe se l’incarico venisse comunque affidato all’opposizione col semplice raggiungimento di 300 seggi, dimostrazione di un inequivocabile consenso popolare. La seconda e definitiva, è che in caso di affermazione dell’opposizione non segua lo scioglimento di un partito della coalizione o un colpo di stato in nome dell’ordine nazionale. Ipotesi quasi prevista dal generale Prawit che ha concesso: “Se i thailandesi resteranno uniti un colpo di stato non sarà necessario”.

 

Un elemento di destabilizzazione che potrebbe essere considerato tale da giustificare un colpo di stato è il ritorno in patria di Thaksin Shinawatra che militari e conservatori considerano come una sorta di demone. Questa volta, però, i militari potrebbero essere traditi dai loro migliori alleati, le élite economiche del paese. Dopo anni di crisi esacerbata dal Covid, anche le grandi famiglie che detengono quasi il 70 per cento del pil potrebbero decidere di cambiare bandiera. Alla fine, il risultato verrà ancora sancito in “Paradiso”. Nome con cui si designa il Palazzo Reale. A Bangkok bisogna saper leggere i sottintesi.

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