il bilancio

Russia in rosso: dimezzate le entrate petrolifere, sale il deficit

Luciano Capone

Secondo i dati del ministero delle Finanze russo, nel primo quadrimestre del 2023 aumenta la spesa pubblica (+26%), crollano i proventi da oil & gas (-52%) e il deficit già supera del 17% il target annuale

La situazione dell’economia russa non è di semplice interpretazione. Nelle previsioni per il 2023 c’è una crescita del pil, che è dello 0,7% secondo il Fmi e dell’1,2% secondo il governo russo, ma i dati reali sono tutt’altro che positivi. Secondo le cifre diffuse dal ministero delle Finanze russo, nel primo quadrimestre dell’anno sono crollate le entrate dalla vendita di idrocarburi (sotto la pressione delle sanzioni), sono aumentate le spese (a causa della guerra in Ucraina) e il deficit è esploso: il disavanzo federale da gennaio ad aprile ha raggiunto i 3.424 miliardi di rubli (oltre 45 miliardi di dollari), che supera abbondantemente l’obiettivo per l’intero anno fissato nella legge di Bilancio pari a 2.925 miliardi di rubli.

 

Rispetto allo scorso anno, nel primo quadrimestre del 2023 le spese sono aumentate del 26% trainate dal costo della macchina bellica impantanata in Ucraina, mentre le entrate si sono ridotte del 22%. Visto che le altre entrate trainate dall’Iva sono in leggero aumento, la forte riduzione del gettito è dovuta integralmente al crollo delle entrate dall’export di gas e petrolio: -52%, rispetto ai primi quattro mesi del 2022. Nel solo mese di aprile i proventi da oil & gas, che sono la principale fonte di reddito per le casse del Cremlino, sono diminuite del 64% rispetto allo scorso anno e del 6% rispetto al mese precedente.

 

Secondo le spiegazioni del ministero delle Finanze russo, l’aumento delle uscite è dovuto a un anticipo delle spese annuali sostenute nei mesi di gennaio-febbraio che porterà la dinamica delle uscite a normalizzarsi nel corso dell’anno. Per quanto invece riguarda il dimezzamento dei proventi da idrocarburi, il governo russo ammette che le cause sono la diminuzione del prezzo del petrolio degli Urali rispetto allo scorso anno (il differenziale di prezzo tra il greggio russo e il Brent si è allargato con le sanzioni occidentali) e il calo delle esportazioni di gas (dopo la guerra la Russia ha praticamente perso il suo principale mercato che era l’Europa).

 

Ma, anche in questo caso, le autorità russe ritengono di poter riequilibrare i conti durante il corso dell’anno. Per farlo, ad esempio, il Cremlino ha previsto un nuovo metodo di calcolo delle imposte sul petrolio che punta a far ridurre gli sconti applicati dalle società petrolifere russe o, in ultima istanza, ad aumentare la pressione fiscale sul settore. Nonostante le rassicurazioni e le contromisure delle autorità russe, però, il bilancio continua a deteriorarsi: se a marzo il deficit aveva raggiunto l’82% del target annuale, ad aprile è arrivato al 117%.

 

L’aumento della spesa pubblica e il crollo delle esportazioni indeboliscono il rublo e spingono all’insù l’inflazione, costringendo la Banca centrale a una politica monetaria più aggressiva e il governo a una politica fiscale più austera, con contraccolpi sul finanziamento della macchina militare e sulla domanda interna che attualmente stanno sostenendo l’economia di guerra. Il bilancio della Russia risente delle recenti sanzioni sull’export, in particolare il price cap. È la dimostrazione che gli alleati occidentali, come suggeriscono molti osservatori internazionali, dovrebbero abbassare il price cap sugli idrocarburi e intensificare le sanzioni. Magari già al prossimo G7 in Giappone.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali