Il silenzio dei ventisette
Ora che si è abituata all'autoritarismo di Erdogan, l'Ue non è pronta a un cambio di regime
Nessuna dichiarazione di sostegno a favore di uno dei due principali candidati, il presidente uscente e il suo avversario Kiliçdaroglu, in vista delle elezioni in Turchia. L'Unione non sembra avere un piano per affrontare i tre scenari che potrebbero aprirsi domenica
Bruxelles. L'Unione europea è rimasta rigorosamente in silenzio durante la campagna che sta portando la Turchia alle elezioni presidenziali e legislative di domenica. Nessuna dichiarazione di sostegno a favore di uno dei due principali candidati, il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, e il suo avversario, Kemal Kiliçdaroglu, che i sondaggi danno leggermente in testa. Nessun commento sulle loro promesse elettorali. Nessun avvertimento su potenziali brogli o contestazioni. Sono state messe a tacere anche le critiche ordinarie a Erdogan per il suo veto all'adesione della Svezia alla Nato o il ruolo del suo paese come piattaforma per aggirare le sanzioni contro la Russia. Dopo il ventennio di Erdogan, la Turchia è a un bivio tra cambio di regime, approfondimento della deriva autoritaria e possibile crisi politico-istituzionale. Eppure l'Ue non sembra avere un piano per affrontare i tre scenari che potrebbero aprirsi domenica.
Il silenzio dell'Ue sulle elezioni presidenziali in Turchia è motivato innanzitutto dalla possibile conferma di Erdogan. Il presidente uscente ha dimostrato di avere inesauribili capacità di sopravvivenza politica. In altre occasioni in passato è riuscito a smentire i sondaggi che davano per quasi certa la perdita della maggioranza per il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). La partenza di Erdogan può essere auspicata, ma l'Ue non può dirlo apertamente. Nell'ultimo decennio, oltre alla deriva autoritaria interna, Erdogan ha moltiplicato provocazioni e azioni ostili verso l'Europa. Ha definito Angela Merkel “nazista”. Ha messo in dubbio la “salute mentale” di Emmanuel Macron. Ha usato i rifugiati siriani come arma di ricatto per ottenere 6 miliardi di euro. Ha minacciato apertamente la Grecia di guerra. Si è avvicinato a Vladimir Putin con cui coltiva un'amicizia ambigua. Ha posto il veto all'ingresso della Svezia nella Nato. Ma la Turchia è un paese centrale per la geopolitica occidentale e la sicurezza europea. Lo è ancor di più con la guerra della Russia contro l'Ucraina. “Chiamiamoli per quello che sono, dittatori di cui però si ha bisogno per collaborare”, aveva spiegato più di due anni fa l'allora presidente del Consiglio, Mario Draghi, parlando proprio di Erdogan.
Del resto, l'Ue ha imparato a convivere con Erdogan, anche nella sua versione autoritaria. Le tensioni sono ricorrenti, ma le crisi si sono sempre estinte prima di esplodere. L'accordo del 2016 sui migranti che ha subappaltato alla Turchia i rifugiati siriani ha disinnescato una bomba politica per Merkel e altri leader europei. La decisione di chiudere lo stretto del Bosforo alla marina militare russa all'inizio della guerra di fatto ha salvato l'Ucraina. La Finlandia è entrata nella Nato e tutti si aspettano che, dopo le elezioni, accada lo stesso per la Svezia. Non tutto Erdogan viene per nuocere per l'Ue. La sua deriva autoritaria interna – la repressione delle manifestazioni, la persecuzione dei curdi, il controllo sui media, le epurazioni dopo il fallito colpo di stato del 2016 – ha cancellato dall'agenda il tema dello status di candidato Ue della Turchia, uno dei più controversi per paesi come Germania e Francia. I negoziati che erano stati lanciati nel 2004, quando Erdogan era considerato un riformatore pro europeo, sono stati congelati nel 2016 e da allora non sono più ripresi. Secondo Ilke Toygür, professore di geopolitica d'Europa all'Università Carlo III di Madrid, "alcuni funzionari dell'Ue e degli stati membri potrebbero pensare che sarebbe più facile per l'Ue se prevalesse lo status quo". Ma l'Ue non ha discusso un piano in caso di rielezione di Erdogan che vada oltre quella che un diplomatico definisce la “convivenza ostile”.
Il candidato dell'opposizione, Kemal Kiliçdaroglu, ha fatto promesse che sulla carta dovrebbero piacere all'Ue, come quella di soddisfare tutti i parametri di riferimento richiesti dall’ordinamento europeo per la legge antiterrorismo. Il suo obiettivo è di ottenere dall’Ue la liberalizzazione dei visti di ingresso nell’area Schengen per i cittadini turchi. Nel memorandum di intesa dell’alleanza dei partiti di opposizione, poi, è previsto il riallineamento dell’ordinamento turco ai parametri dell’Ue come prescritto dai 35 capitoli del negoziato di adesione. Ma, paradossalmente, una vittoria di Kiliçdaroglu potrebbe diventare un problema per l'Ue proprio perché riaprirebbe le fratture interne sulle prospettive di adesione turca. La Turchia potrebbe "avvelenare il dibattito sull'Ucraina" perché c'è "grande scetticismo sulla capacità dell'Ue di assorbire" due paesi così grandi, ha spiegato Mujtaba Rahman, dell'Eurasia Group. I ventisette sono spaccati anche sulla liberalizzazione dei visti. Per Sinan Ülgen, direttore del think tank Edam, "l'Ue perderebbe grande credibilità e ogni pretesa di superiorità morale se non rispondesse positivamente a una Turchia in via di democratizzazione". Ma l'offerta dell'Ue rischia di limitarsi a un ammodernamento dell'unione doganale, già promesso a Erdogan e mai realizzato.
Il terzo scenario è quello più difficile da gestire per l'Ue: Erdogan sconfitto che contesta i risultati o rifiuta di lasciare il potere. Con Donald Trump e Jair Bolsonaro i ventisette si erano coordinati per riconoscere la vittoria di Joe Biden e Lula. Ma Trump e Bolsonaro non avevano avuto venti anni per smantellare i “checks and balances” elettorali del loro paese. Le minacce di sanzioni dell'Ue contro Erdogan per la repressione interna o le provocazioni esterne non si sono mai concretizzate. La priorità per l'Ue oggi rimane l'Ucraina e tutti i calcoli ruotano attorno a lì. Un primo test arriva già il 18 maggio, quando scade l'Iniziativa sul grano nel Mar Nero, nella quale Erdogan è un attore decisivo. Sicuramente alzerà la voce, ma difficilmente l'Ue farà qualcosa di concreto se Erdogan trasformerà il 14 (o 28) maggio nell'assalto al Campidoglio del 6 gennaio della Turchia.