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Le elezioni in Turchia, il destino incerto di Erdogan e le incognite per l'Europa

La guerra in Ucraina, la questione siriana, il terremoto del 6 febbraio, il Kurdistan turco. Cosa cambia per l'Ue se il "sultano" perde il potere dopo vent'anni e i timori e dubbi sull'oppositore Kilicdaroglu. Un duello che cambia tutto 

Oggi in Turchia si vota per il rinnovo del Parlamento e del presidente turco. Per la prima volta dopo vent’anni, la presidenza di Recep Tayyip Erdogan non sembra affatto scontata. E’ previsto un record di affluenza alle urne e secondo i sondaggi quella tra il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) di Erdogan e il suo principale rivale, Kemal Kiliçdaroğlu, è la sfida più serrata della recente storia elettorale del paese. Erdogan sarebbe al 44,2 per cento, dietro a Kiliçdaroğlu che lo stacca di 7,5 punti, al 51,7 per cento.

 

Nella giornata di oggi circa 61 milioni di elettori provenienti dagli 87 distretti elettorali della Turchia si recheranno alle urne,  mentre 3,4 milioni di elettori stranieri idonei, di cui 1,5 milioni nella sola Germania, hanno già espresso il loro voto. La Turchia degli ultimi vent’anni è molto riconoscibile: un paese alle porte del medio oriente, sulla carta alleato della Nato, ma dal quale tutto viene con un prezzo. Il duello di oggi potrebbe essere quello che cambia tutto: la serietà minacciosa di Erdogan contro la cucina e le cipolle di Kiliçdaroglu.

 

Le sfide 

La guerra in Ucraina

L’Economist l’ha definita l’elezione più importante dell’anno. Il voto in Turchia è importante perché riguarda anche il futuro della guerra in Ucraina. Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a mettere Ucraina e Russia attorno allo stesso tavolo, ma è riuscito a far firmare ai due paesi due trattati separati per lo sblocco dei porti ucraini sul Mar Nero, in cui per circa cinque mesi dall’inizio della guerra sono rimasti fermi  i mercantili carichi di grano. Il timore è che con la vittoria di Kiliçdaroğlu la Turchia passi da un’ostentata neutralità al disimpegno. L’articolo di Micol Flammini

 

I siriani

Paola Peduzzi racconta quanto poco sostegno hanno avuto i siriani nella loro lotta contro un’associazione mortifera di dittature, siriana, iraniana, russa. E’ la sintesi di una resistenza e di un coraggio non misurabili, ma anche della consapevolezza che molti assestamenti post invasione russa dell’Ucraina si stanno facendo sulla pelle dei siriani. Perché la regia è sempre di Vladimir Putin, che ha ottenuto la restaurazione di Assad e che ha mantenuto la Turchia abbastanza vicina da alterare il processo di allargamento della Nato e da coinvolgerla nella costruzione delle sue alleanze.

Un’altro tema elettorale è quello dei rifugiati: soprattutto siriani, ma anche afghani, iracheni, iraniani, libici. A oltre 220 mila di loro è stata riconosciuta la naturalizzazione turca – non godono dello status di rifugiato, ma di una protezione speciale – e quindi potranno partecipare alle elezioni. Non determineranno l’esito del voto, ma l’immigrazione è al centro del dibattito elettorale. Claudia Cavaliere dal quartiere di Istanbul Little Syria racconta sul Foglio i problemi del presidente con il regime di Bashar el Assad.

Il terremoto

Solo tre mesi fa, il 6 febbraio scorso, un terremoto nel sud della Turchia e nel nord della Siria ha provocato più di 50 mila morti e oltre 6 milioni di sfollati. Una catastrofe che ha messo a rischio la sua rielezione e scatenato numerose critiche sulla gestione da parte del governo. Qui Mariano Giustino pochi giorni dopo la catastrofe ha risposto alla domanda: il presidente turco, arrivato al potere con un terremoto, se ne andrà col terremoto? 

I curdi

Mariano Giustino da Diyarbakir, nel cuore del Kurdistan turco, racconta gli errori di Erdogan, dopo la rottura della cosiddetta “apertura curda” che il suo Partito della giustizia e dello sviluppo aveva avviato per  conquistare il voto curdo da sempre determinante per la vittoria alle elezioni. Cosa offre Kiliçdaroglu.

L’oppositore

 

Kemal Kilicdaroglu

Qualche mese fa si è iniziato a parlare di lui come del “Gandhi turco”. Il ritratto di Mariano Giustino sul candidato dell’opposizione, Kemal Kiliçdaroglu, presidente del Partito repubblicano del popolo (Chp). “Se ami, ami radicalmente”, è il suo slogan: chi è il leader repubblicano di identità curda-alevita incaricato di rimuovere Erdogan dal palazzo presidenziale di Bestepe.

Qui le promesse economiche di Kiliçdaroglu: il ripristino della fiducia dei mercati e “offrire nuove opportunità di investimento” al mondo esterno ponendo fine all’“erdoganomics”, la strategia con la quale Erdogan sostiene che bassi tassi di interesse frenerebbero l’inflazione. Il paese è nel pieno di una crisi valutaria e dunque finanziaria-inflazionistica

I cambiamenti per l’Ue

Su Euporn – Il lato sexy dell’Europa Paola Peduzzi e Micol Flammini spiegano che cosa cambia per l’Ue se Erdogan perde il potere. La doppiezza  dei ventisette la espose bene Mario Draghi, quando da presidente del Consiglio in conferenza stampa disse con una  consapevolezza che sembrò uno scivolone diplomatico, che con certi dittatori, intendendo Erdogan, purtroppo l’Ue è costretta ad avere a che fare.

Da Bruxelles David Carretta spiega cosa significa il silenzio dell’Unione europea durante la campagna elettorale in Turchia. Nessuna dichiarazione di sostegno a favore di uno dei due principali candidati, nessun commento sulle loro promesse. Sono state messe a tacere anche le critiche ordinarie a Erdogan per il suo veto all'adesione della Svezia alla Nato o il ruolo del suo paese come piattaforma per aggirare le sanzioni contro la Russia. Il timori dell’Ue al cambio di regime

I vent’anni del sultano

 

Recep Tayyip Erdogan

Qui cosa ci dicono i giovani e gli studenti a Istanbul sulle elezioni nel paese. Le risposte alla domanda: che accade se Erdogan vince di nuovo? I 13 milioni di cittadini turchi con meno di 25 anni chiamati a votare: di questi quasi la metà andrà alle urne per la prima volta

Daniel Mosseri da Berlino scrive sul Foglio che la Germania è il paese che ospita la più grande comunità di turchi emigrati: 1, 5 milioni aventi diritto. Qui cinque anni fa fu un plebiscito per “il sultano”: la parte di Europa che subisce la forte personalità di Erdogan

Il 29 ottobre ricorrono i cento anni dalla nascita della Turchia moderna come Mustafa Kemal Ataturk l’aveva pensata: una repubblica, laica e aperta a occidente. Il presidente Recep Tayyip Erdogan nei suoi venti anni  al potere l’ha ridisegnata e votata a quello che lui vorrebbe fosse invece un faro alle porte del medio oriente, uno stato autoritario e  religioso che da poco più di un anno ha chiesto alla comunità internazionale di riconoscere come Türkiye, secondo la sua denominazione turca.