in Turchia
Erdogan può contare sulla maggioranza in Parlamento per dire: la stabilità sono io
L'idea di un presidente della Repubblica con poteri esecutivi privo della maggioranza parlamentare non piace, si dice, ai turchi. E poi ci sono voti dell’ultranazionalista Sinan Ogan, che ha registrato il 5,2 per cento, che potrebbero fare ritorno al presidente in carica
Ankara. Recep Tayyip Erdogan è in una posizione di forza in vista del ballottaggio presidenziale del 28 maggio. Lo è per due motivi: la sua coalizione, l’Alleanza della nazione, ha confermato la maggioranza in Parlamento; i voti dell’ultranazionalista Sinan Ogan, terzo sfidante che ha registrato il 5,2 per cento e che potrebbero fare ritorno al presidente in carica al quale manca solo poco più di mezzo punto per superare la soglia del 50 per cento tra meno di due settimane. Una delle sorprese di queste elezioni è stato proprio Sinan Ogan, fuoriuscito dal Partito del movimento nazionalista (Mhp) di Devlet Bahçeli, che col suo cinque per cento ha impedito ai suoi rivali di vincere già domenica scorsa. Sia Erdogan che Kiliçdaroglu hanno subito iniziato a corteggiare Ogğan e i suoi elettori.
Bisogna però dire che il suo partito, l’alleanza Ata (Alleanza ancestrale o Alleanza degli antenati), ha preso meno dello 0,6 per cento e ciò vuol dire che non ha un seguito rilevante e che ha attratto solo un voto di protesta che con ogni probabilità sarà intercettato per gran parte dal presidente. Sinan Oğan difficilmente riuscirà a indirizzare il suo consenso personale perché non è rivolto al suo minuscolo partito, si tratta di voti liberi, di elettori che non si sono riconosciuti nei due maggiori sfidanti e che hanno voluto mandare un segno di protesta. Ogan ha infatti intaccato la quota di voti di Erdogan nell’Anatolia centrale.
Attraverso un’analisi dei flussi elettorali emerge che Erdogan ha subìto una perdita del 5,3 per cento a Konya, dove nel 2018 aveva ottenuto il 74,2 per cento, ma ora si è attestato al 68,9 per cento. Mentre Ogan ha ottenuto il 6,76 per cento dei voti. Anche a Kayseri, Erdogan ha perso il 6,6 per cento dei consensi rispetto al 2018 e in questa provincia Ogan ha ottenuto l’8,7. Lo stesso è capitato a Yozgat e a Sivas dove Erdogan è calato di oltre 3 punti e Ogan ha conquistato il 5,5 per cento. In tutti questi luoghi, Kiliçdaroglu si è attestato a livelli simili a quelli del 2018 e in alcune province è calato del 2-3 per cento . Questa analisi mostra che il consenso ottenuto da Ogan viene dai feudi elettorali di Erdogan, probabilmente a causa del malcontento per la crisi economico e dell’insofferenza verso i rifugiati siriani in quelle areeed è probabile dunque che al ballottaggio questi elettori tornino nel campo di Erdogan, dal momento che per la maggior parte sono conservatori nazionalisti.
Erdogan ha anche altri assi nella manica. A differenza di Kiliçdaroglu, deve ancora annunciare la sua squadra di governo e potrebbe farlo in questi giorni lanciando messaggi rassicuranti al mercato interno e agli investitori internazionali su un cambio radicale della politica monetaria non ortodossa basata sui bassi tassi di interesse e sul controllo della Banca centrale, secondo la politica dell’“erdoğanomics”, molto criticata dall’opposizione e dagli economisti. Un altro dato rilevante che è emerso da queste elezioni è il voto nazionalista che si rafforza e va oltre il 30 per cento dell’elettorato. Dunque il Partito repubblicano del popolo se vuole ottenere un successo al ballottaggio, ma anche in futuro, sarà costretto a prestare maggiore attenzione alla componente nazionalista per non lasciarla tutta nelle mani di Erdogan. A Kiliçdaroglu mancano infatti i voti dell’İYİ Parti (il Partito buono) di Meral Akşener. Il suo partito, di destra nazionalista, parte della coalizione di opposizione, è l’altro grande sconfitto di queste elezioni. Era accreditato nei sondaggi ad oltre il 16 per cento, ma ha sfiorato il 10, conseguendo lo stesso risultato del 2018. Anche l’Akp di Erdogan ha subìto un calo consistente di voti, ha perso l’8,5 per cento attestandosi poco sopra il suo minimo storico. Da solo Erdogan non avrebbe la maggioranza in Parlamentare, ce l’ha grazie al suo al suo alleato di destra ultranazionalista Mhp che ha perso solo l’1 per cento rispetto al 2018, e mantenendo 50 parlamentari.
Se dovesse vincere Kiliçdaroglu, si avrebbe un presidente della Repubblica con poteri esecutivi privo della maggioranza parlamentare. “Ai turchi non piace la convivenza”, si sostiene ad Ankara. Anche per questo al ballottaggio il favorito sarebbe certamente Erdogan. Non solo perché ha accentrato tutto il potere nelle sue mani, non solo perché controlla il sistema giudiziario e direttamente o indirettamente il 90 per cento dei media e dispone di risorse statali ingenti che gli hanno sempre consentito di svolgere una massiccia campagna di propaganda, ma anche perché può motivare la necessità della sua rielezione adducendo il fatto che se fosse lui il nuovo presidente godrebbe anche della maggioranza parlamentare, cosa questa che non si determinerebbe se vincesse Kiliçdaroglu. Farebbe leva, in sostanza, sulla necessità per il paese di avere un presidente che eserciterebbe le sue funzioni con pienezza e senza alcun intralcio. Il dato positivo di questo risultato elettorale è che Erdogan non potrà operare una nuova riforma costituzionale perché la sua coalizione non ha ottenuto la maggioranza qualifica dei due terzi in Parlamento necessaria per modificare la legge sul limite dei due mandati per la presidenza della Repubblica, ciò vuol dire che queste del 28 maggio saranno, se dovesse vincere le sue ultime elezioni presidenziali.