l'altro summit
Il vertice anti G7 di Xi Jinping
Mosca e Pechino in Asia centrale non giocano in coppia. E mentre a Hiroshima è riunito il gruppo dei Sette, la Cina raduna i paesi centro asiatici a Xi’an per parlare di affari e politica
La distanza geografica tra Hiroshima e Xi’an è di circa 2.000 chilometri ma dal punto di vista politico è molta di più. Se nella città giapponese si apre oggi il meeting del G7 che vede in cima all’agenda l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, la città della Cina centrale ospita invece il primo summit in presenza della storia tra un leader cinese e i presidenti delle cinque repubbliche centroasiatiche. Un meeting virtuale era già avvenuto nel 2022, ma questo non toglie peso all’appuntamento, considerato anche che sono passati dieci anni esatti dall’annuncio da parte di Xi Jinping del lancio della Via della seta, avvenuto proprio dal Kazakistan, e che la città che ospita i lavori è da sempre considerata il punto di partenza della Via della seta tradizionale. Non manca quindi una grande valenza simbolica, come nella migliore tradizione cinese, anche legata al messaggio che il leader cinese vuole mandare: il mondo è sempre più multipolare e la Cina ha un ruolo di primissimo piano da giocare.
Il summit si chiude oggi e la giornata di ieri è stata dedicata ai colloqui bilaterali tenuti da Xi Jinping con i presidenti di Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan, mentre la giornata odierna sarà il cuore del vertice. Stando alle dichiarazioni rilasciate nei giorni immediatamente precedenti all’appuntamento da parte del ministero degli Esteri di Pechino, l’iniziativa è stata pensata per permettere al leader cinese di delineare la strategia della Repubblica popolare per l’area – anche attraverso la conclusione di importanti accordi di natura politica – e per un confronto sulle principali questioni internazionali di interesse comune. Dal tavolo non manca quindi la sfera della sicurezza: l’Asia centrale affaccia sulla turbolenta area afghano-pachistana e infatti un accordo specifico è stato siglato con il Tagikistan – paese in cui Pechino dispone già di un avamposto militare sulla frontiera con l’Afghanistan – per la realizzazione di esercitazioni militari congiunte. Altrettanto presente è la dimensione commerciale, vera leva di influenza della Repubblica popolare nell’universo centro asiatico: nel 2022 l’interscambio tra Pechino e la regione ha toccato un nuovo record, arrivando a oltre 70 miliardi di dollari, 31 dei quali con il Kazakistan. Non solo, stando ai dati più recenti, negli ultimi anni la Cina ha investito nella regione circa 40 miliardi all’anno anche e soprattutto in progetti targati Nuove vie della seta, una quota destinata a salire in futuro. L’Asia centrale è infatti sempre più strategica anche dal punto di vista geografico lungo la direttrice est-ovest, considerando anche le sanzioni che rendono impraticabile la rotta settentrionale attraverso la Russia. C’è anche attesa per l’annuncio di nuove misure di esenzione del visto per i cittadini in transito da e verso le repubbliche regionali, misura utile soprattutto per rendere meno complicata la vita agli uomini d’affari che si muovono tra i principali centri commerciali dell’area centroasiatica e quelli della Repubblica popolare.
Anche Mosca osserva cosa accade in questi giorni in Cina, il premier Mikhail Mishustin è atteso a Pechino il 23 marzo in occasione del forum dedicato al business, ma i rapporti con i paesi dell’Asia centrale si stanno facendo complicati, anche per l’arrivo di Pechino. I presidenti delle repubbliche centroasiatiche sono oltretutto reduci dal viaggio in Russia in occasione delle celebrazioni per la Giornata della vittoria del 9 maggio. Una visita arrivata a sorpresa e la cui conferma è giunta nell’imminenza della ricorrenza: una circostanza che lascia intendere che siano arrivati pressioni da parte di Putin, ansioso di non farsi percepire del tutto isolato sul fronte internazionale. Pressioni che hanno trovato terreno fertile in leader che in questa fase sono particolarmente attenti – ancora più che in passato – a non irritare un partner ritenuto tanto indispensabile quanto imprevedibile, alla luce soprattutto del trattamento riservato all’Ucraina. Il Cremlino dispone di un peso specifico in Asia centrale da non sottovalutare, seppur con tutti gli alti e bassi del caso: per un motivo o per l’altro, le repubbliche regionali sono infatti ancora strettamente legate all’ex colonizzatore a più di 30 anni di distanza dalla caduta dell’Unione sovietica.
Mettendo in fila gli eventi più recenti, la vicinanza temporale di questi due appuntamenti – il viaggio in Russia e quello a Xi’an – del blocco di leader centro asiatici lascia intendere che la partita nell’area è sempre più a due tra Mosca e Pechino. Certo, non mancano ammiccamenti da parte di Kazakistan e Uzbekistan verso potenziali partner di diversa provenienza, dalla Turchia all’Iran, dall’Unione europea agli Stati Uniti, passando per l’India e la Corea del sud, ma Putin e Xi Jinping hanno ora un numero maggiore di carte da poter giocare. La Russia soprattutto per ragioni storiche, geografiche e militari; la Cina sul fronte commerciale e degli investimenti e della capacità di rappresentare sempre di più un modello di stabilità politica associato alla crescita economica: un esempio che genera grande ammirazione in regimi che a prima vista sembrano granitici ma che osservati con attenzione mostrano grandi fragilità interne. E che trovano rassicurazioni a Xi’an, non certo a Hiroshima.