Rishi Sunak e, sullo sfondo, Suella Braverman (LaPresse)

A Londra

I dati sull'immigrazione nel Regno Unito fanno tremare i Tory

Cristina Marconi

Rishi Sunak deve fronteggiare l’ingente aumento degli ingressi che smentisce le promesse irrealistiche del suo governo. E intanto scoppia il caso al ministero degli Interni, con al centro la potenziale candidata premier Braverman

Ci risiamo: lasciare che siano gli scandali a decidere e a disfare le carriere politiche è diventata ormai un’abitudine nel Regno Unito, dove la ministra dell’Interno Suella Braverman, sostenitrice di una linea di radicale intransigenza in materia di immigrazione, ha il suo futuro appeso alla richiesta fatta l’estate scorsa ad alcuni funzionari di organizzare un corso privato di recupero dei punti della patente dopo aver preso una multa per eccesso di velocità. Un’infrazione del codice di condotta ministeriale che in un paese mediterraneo farebbe sorridere e che invece nel Regno Unito sta occupando le prime pagine in quanto, parrebbe, assolutamente inaccettabile, ancor più per il fatto che il governo di Rishi Sunak sta per vedersela con numeri sull’immigrazione legale del tutto fuori linea con le promesse (irrealistiche) fatte: se alla vigilia della Brexit c’erano 336 mila arrivi, per il 2022 la cifra dovrebbe essere intorno ai 700 mila. Legali. Altro che i 45 mila sbarchi sulla costa, su cui si focalizzano sia l’opinione pubblica sia le dichiarazioni tonanti di Braverman.

 

I dati, che verranno resi noti ufficialmente giovedì 25 maggio dall’Ente nazionale di statistica, sono legati alle misure necessarie per controbilanciare la partenza dei cittadini europei in settori chiave dell’economia, a partire da sanità e cura, all’accoglienza di chi fugge dalla guerra in Ucraina e dalla situazione a Hong Kong, oltre all’aumento degli studenti stranieri. Tutti fattori che, anche se dovessero rientrare o stabilizzarsi, non porterebbero ai tagli promessi da una classe politica che non riesce a parlare chiaramente ai cittadini, i quali nel frattempo iniziano a trarre qualche bilancio sulla Brexit: YouGov fa sapere che solo il 9 per cento dei britannici crede che la Brexit sia stata positiva. Anche tra chi ha votato per il leave, solo il 20 per cento giudica l’uscita dall’Ue “tendenzialmente un successo”, mentre per il 37 per cento è “tendenzialmente un fallimento”. Il problema è che il 75 per cento di chi ha votato per andare via pensa che sia colpa dei Tory che non hanno saputo dare forma a una buona idea, come sostenuto da Nigel Farage, indefesso cercatore di nuovi spunti populisti, appena qualche settimana fa. 

 

In tutto questo il problema sono le richieste di Braverman di evitare di non partecipare ai corsi sui pericoli dell’eccesso di velocità insieme ad altre persone (alla fine ha preferito pagare una multa, nonostante il temuto impatto sui premi assicurativi). Rishi Sunak, che da Hiroshima ha cercato di smentire l’immagine di un Regno Unito sempre più piccino sullo scacchiere internazionale, a Westminster ha salutato la ministra con una pacca sulla spalla plateale e amichevole, ma ha detto che la vicenda sarà valutata da chi di competenza e ha preso tempo. Il codice ministeriale stabilisce che non “emerga conflitto” tra i doveri pubblici e gli interessi privati e secondo Sir Philip Rycroft, ex civil servant intervistato da Bbc4, il fatto stesso di fare una richiesta del genere mette Braverman in una “posizione insostenibile” e rappresenta “un serio errore di valutazione”.

 

Tanto più che, come sottolineato da Yvette Cooper ai Comuni, non è la prima volta che “pensa di essere al di sopra delle regole normali”, come dimostra il fatto che già a ottobre scorso aveva dovuto dimettersi dal governo meteorico di Liz Truss per aver mandato un documento riservato a un deputato dalla sua mail privata. Braverman nasconde sempre di meno la sua ambizione di diventare premier e infatti il fatto stesso che lo scandalo della patente sia venuto fuori contemporaneamente su due giornali conservatori, Sunday Times e Mail on Sunday, fa pensare che dietro questa vicenda ci sia, perché no, una manina Tory.