l'intervista
Quanta paura fa la recessione “tecnica” della Germania
Christian Oberst, senior economist presso l’Istituto di Colonia per l’economia tedesca, ci spiega perché il rallentamento della crescita di Berlino è un segnale preoccupante. Anche per l'Europa
Berlino. Pil giù dello 0,5 per cento negli ultimi tre mesi del 2022 e dello 0,3 nei primi tre dell’anno in corso: la Germania entra in recessione. Recessione solo “tecnica”, ma le previsioni non sono rosee: sia l’Fmi sia l’istituto Ifo di Monaco prevedono una Germania in stagnazione per tutto il 2023; la Commissione europea profetizza un timido +0,2 per cento su base annua, e il governo federale punta sul +0,4. Chi si sorprende, però, sbaglia: “Questa situazione va avanti dalla fine del 2019”, spiega al Foglio Christian Oberst, senior economist presso l’Istituto di Colonia per l’economia tedesca (Iw), secondo cui la Rezession era da tempo nell’aria. La pandemia prima (con i lockdown che hanno spento i mercati) e il conflitto russo-ucraino poi (con la crisi energetica e il rilancio dell’inflazione) hanno peggiorato il quadro. Al di là delle contingenze belliche e sanitarie, l’esperto dell’Iw intravede nella recessione anche qualcosa di fatale: “Veniamo da un decennio di forte espansione, in cui la produzione industriale è molto cresciuta”. L’industria adesso frena e con lei il paese. Ad assestare l’ultimo colpo è stata “la fine del gas a buon mercato”. Questo cambiamento ha colpito di più i tedeschi per una ragione semplice: “Perché dalla chimica al siderurgico la Germania ha un’industria pesante ed energivora fra le più sviluppate al mondo”. Anzi, osserva ancora Oberst, l’inverno passato è stato mite: con temperature più rigide il consumo, e il prezzo, del gas si sarebbero potuti impennare ancora di più.
La vera novità è l’inflazione (il 7,2 per cento ad aprile), che ha fatto salire i prezzi – e i consumatori hanno acquistato di meno – ma anche gli interessi mettendo in ginocchio nei messi passati l’edilizia, “uno dei pochi settori che non aveva smesso di crescere neppure durante la pandemia”. L’edilizia, sottolinea Oberst, ha tempi diversi dall’industria e la frenata di ieri si percepisce adesso. A zavorrare il sistema, spiega ancora l’economista, contribuisce anche il calo demografico, che ha natura strutturale. “La carenza di lavoratori qualificati permette a quelli sul mercato di chiedere aumenti molto più sostenuti che in passato”, contribuendo così alla spirale inflazionistica. Ed è vero che in mesi recenti la Germania ha registrato un netto aumento degli scioperi di trasporti, ospedali e servizi postali, solo per ricordarne alcuni. All’esperto chiediamo allora se il paese sia tornato a essere “il malato d’Europa” come lo fu all’indomani della riunificazione. “No”, risponde. La Germania conosce una fase di stanca ma la disoccupazione resta bassa: “Mi preoccuperei se prendesse a salire”, mentre anche il settore dei servizi resta forte.
Oberst ricorda poi che a fronte di un sentiment economico mesto fra le imprese, i consumatori sono più ottimisti e, ancora, i colli di bottiglia nelle fornitura dalla Cina si stanno finalmente allentando. Anche il governo potrebbe fare qualcosa. Per esempio, poiché nelle città la domanda di case è molto alta, “potrebbe aiutare gli acquirenti facendosi carico di parte degli interessi finché questi restano alti, come è già stato fatto in altri paesi europei”. Per adesso Berlino ha annunciato 4 miliardi in sussidi per le grandi imprese energivore affinché possano pagare la bolletta ma Obesrt non è entusiasta: “E’ giusto aiutare un settore importante anche dal punto di vista dell’occupazione, ma sarebbe meglio incentivare il risparmio energetico come stato fatto nei mesi passati quando il governo ha garantito prezzi controllati del gas per l’80 per cento della bolletta lasciando al libero mercato il restante 20”. Starà a una maggioranza molto litigiosa per gli standard tedeschi trovare la quadra per rianimare la crescita. S
Sul piano internazionale gli effetti della recessione tedesca sarebbero già palpabili e ieri la Welt scriveva che l’Ungheria non è la sola a opporsi all’undicesimo pacchetto di sanzioni europee alla Russia: anche la Germania, che commercia non con Mosca ma con paesi che poi vendono ai russi, si sarebbe stancata di alienarsi i partner commerciali.